NEWS ANNO 2021 |
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IL NOVECENTO....
Ricordo di Personaggi francavillesi.
Padre Michelangelo, al secoio Michele Condello, l'ho conosciuto.
Era un giovane alto, bello, ammirato dalle donne e dal sorriso sempre amichevole. Lo ricordo al Tribunali Bar di Vibo Valentia, quando si accomiatava dagli amici e dalle amiche per la sua partenza a Padova per iscriversi alla facoltà di medicina. Ero allora un ragazzino che aveva conseguito l'ammissione alla scuola media. Elegante e con gli occhiali da sole, lo ricordo che salutava una giovane donna, ancora vivente qualche anno fa e che incontravo spesso (...rimpianti). Studente esemplare, pur non conseguendo la laurea, a Francavilla molti si rivolgevano con fiducia per un consulto medico, io per primo assieme ad altri giovinastri (ancora siamo viventi)..., e le cure suggerite erano efficaci. Il destino è molto strano, alcune cose ti lasciano perplessi e quasi increduli....Poteva riprendere gli studi e laurearsi a pieni voti, ma preferì scegliere la vocazione religiosa che era maturata durante gli studi, dopo un incontro con Padre Pio... e divenne Padre Michelangelo di Francavilla. Nella foto lo vedete accolto da tutti i francavillesi col cognome Condello e non solo. Morì in Africa, dove si era recato missionario, per una infezione fatale. La lettera inviata ai familiari da un suo confratello, nella quale racconta la fine della vita di questo, per me, carissimo e illustre francavillese, è semplicemente una pagina di storia vera... Gli è stata dedicata una strada nella toponomastica francavillese, ben fatto
Di Vincenzo A. Ruperto |
50° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL PARACADUTISTA ANTONIO FIUMARA
di Vincenzo Davoli
Cinquanta anni or sono, il 9 novembre 1971, nel disastro aereo del quadrimotore “Lockheed C 130 Hercules” precipitato nelle secche della Meloria (tratto del mar Tirreno sito circa 7 km al largo di Livorno) insieme a 45 commilitoni paracadutisti del 1° Reggimento “Folgore”, perì il giovane Caporale francavillese Antonio FIUMARA, primogenito del macellaio Pasquale Fiumara.
I militari della “Folgore” dovevano partecipare ad una missione di addestramento anglo-italiana conprove di lancio di paracadutisti sul suolo della Sardegna nel territorio di Villacidro. Dall’aeroporto di Pisa San Giusto decollò per primo un aereo HawkerSiddeleyAndover dell’aeronautica militare britannica - la famosa RAF- seguito poi, ad intervalli di tempo prefissati, da nove C 130 Hercules che trasportavano i nostri paracadutisti. Tutti i velivoliche parteciparono a quella esercitazione di lancio dall’aereo erano stati contrassegnati sulla fusoliera da un numero progressivo scritto col gesso, da 1 a 10. L’aereo su cui era imbarcato il Caporale A. Fiumara fu indicato come “Gesso 4” poiché fu il quarto a decollare; era pilotato da 6 uomini, tutti militari inglesi, e trasportava 46 paracadutisti italiani della 6^ Compagnia “Folgore”. Pochi minuti dopo il decollo del “Gesso 4”, i piloti dell’aereo “Gesso 5”, che lo seguiva, videro davanti a loro un’improvvisa fiammata sul mare; era di “Gesso 4” precipitato nel tratto di mare delle secche della Meloria. Nella sciagura morirono tutti i 52 militari (italiani e inglesi) che erano a bordo dell’aereo.
Le operazioni di recupero delle salme delle vittime e dei relitti dell’aereo inabissato durarono diversi mesi. Purtroppo la commissione d’inchiesta non fu in grado di determinare con certezza le cause dell’incidente. In onore del figlio Antonio tragicamente perito in quella grande sciagura del 9-11-1971, la famiglia Fiumara fece erigere un’artistica cappella nel cimitero di Francavilla, subito a sinistra del cancello principale d’accesso al camposanto.
Trent’anni dopo, nel 2001, a tutte le vittime italiane di quella tragedia fu conferito, a titolo onorifico, il grado superiore a quello che il militare possedeva al momento della morte. Di conseguenza Antonio Fiumara ad honorem fu promosso Caporal Maggiore.
Un’ulteriore onoranza venne tributata al giovane militare francavillese intitolando al paracadutista Antonio Fiumara una via sita sul fianco occidentale del paese. Infine, durante le celebrazioni del IV Novembre del 2017 (Festa delle Forze Armate e dell’Unità d’Italia, nonché anniversario della vittoria italiana nella 1^ guerra mondiale) sul Monumento ai Caduti di Francavilla è stata collocata una seconda lapide marmorea su cui sono stati incisi, insieme ad altri dieci Caduti della 1^ guerra mondiale, i nomi di tre militari francavillesi morti a causa di servizio in tempo di pace, tra cui quello del paracadutista Antonio Fiumara, vittima dell’incidente che fece precipitare l’aereo a mare, poco a largo di Livorno, nella prima mattinata di quel fatale 9 novembre 1971.
VINCENZO DAVOLI
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FESTA DEL IV NOVEMBRE 2021
Per il secondo anno consecutivo, a causa del Covid 19, non è stato possibile celebrare in maniera solenne la ricorrenza del IV Novembre, festa dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate.
Tuttavia oggi, giovedì 4-11-2021, nella chiesa di San Foca, alla presenza del Sindaco, avv. Giuseppe Pizzonia, e di un significativo nucleo di cittadini, il parroco, Don Giovanni B. Tozzo, ha potuto celebrare la Messa in onore dei Caduti in guerra e benedire, alla fine della sacra funzione, la tradizionale corona d’alloro. Come documentato dalle fotografie scattate da Giuseppe Pungitore, il Sindaco, accompagnato dal Vigile Urbano Antonio Carchedi, si è poi recato in forma privata a deporre la corona d’alloro sul Monumento ai Caduti, opportunamente ornato con fiori e bandierine tricolori.
Nella ricorrenza del IV Novembre è bello altresì ricordare che, durante la forzata “clausura” imposta dalla pandemia, sono stati individuati i nominativi di altri due militari, nati a Francavilla Angitola e poi deceduti, uno, Giuseppe Ranieri, nella 1ª guerra mondiale; l’altro, Giuseppe Spezzano, nella 2ª guerra mondiale.
RANIERI Giuseppe nacque a Francavilla il 10-06-1887, da Antonio e dalla filadelfiese Maria Fruci; era coniugato con Rosa Ruscio. Partecipò alla I guerra mondiale come soldato del 4° reggimento alpini; fu impegnato in combattimenti sulle prealpi venete vicine al famoso Monte Pasubio. Morì il 28-9-1918 in località Novale, frazione di Valdagno (Vicenza), centro famoso per gli stabilimenti lanieri; nell’atto di morte non venne indicata la causa che ne provocò il decesso (Ferite in combattimento? Malattia? Incidente?); venne comunque sepolto nel cimitero di Novale. Essendo figlio di genitori che mai abitarono stabilmente nel nostro paese (la madre era filadelfiese e il padre era di Pizzo) il nominativo del Caduto era completamente sconosciuto alla gente di Francavilla.
Giuseppe SPEZZANO era nato a Francavilla Angitola il 25-04-1913 ed era il figlio primoge-nito (nonché l’unico a nascere in Italia) dei francavillesi Giuseppe senior e Caterina Loiacono. Pochi mesi dopo la nascita di Giuseppe junior, il padre Giuseppe senior emigrò negli Stati Uniti; si fermò per qualche tempo a New Rochelle, poi si spostò a Pittsfield/Massachusetts, e infine si stabilì a Waterbury, città del Connecticut con molte fabbriche di manufatti in ottone. Nel 1921 Giuseppe junior e la madre Caterina Loiacono partirono da Francavilla e raggiunsero Giuseppe senior, residente a Waterbury.
Acquisita la cittadinanza statunitense, nessuno degli Spezzano di Waterbury fece ritorno a Francavilla; si sciolsero i loro legami con il paese d’origine e nulla si seppe della morte in guerra del nostro uomo, che in Italia era registrato come Giuseppe Spezzano, mentre negli USA venne denominato Joseph F. Spezzano jr. Dopo che gli Stati Uniti entrarono nella 2ª guerra mondiale, Joseph jr, rimasto celibe, fu arruolato (1942) nelle truppe americane che poi vennero inviate in Francia a combattere contro le armate tedesche. In particolare fu inquadrato come “Soldato scelto”, matricola 31102906, della 231ª Batteria riflettori d’intercettazione dell’Artiglieria contraerea.Il nostro italo-americano morì il 19-12-1944, presso Bastogne (Belgio), durante la sanguinosa offensiva tedesca nelle Ardenne, che provocò numerosissime vittime sia nelle file dell’esercito americano (colto di sorpresa da quell’attacco tedesco) sia tra i civili belgi che abitavano in quel territorio. La salma di Joseph F. Spezzano jr successivamente fu dignitosamente sepolta nel Cimitero Militare Americano sito in Francia, dipartimento dei Vosgi, località Dinozè del Comune di Épinal; ed in particolare nel lotto A, fila 4, tomba 61.
VINCENZO DAVOLI
IL DISCORSO DEL SINDACO AVV. GIUSEPPE PIZZONIA IL 4 NOVEMBRE 2021
Un caloroso saluto a tutti,
anche quest’anno a causa della pandemia Covid-19 per la ricorrenza del 4 novembre non abbiamo invitato le scolaresche, niente gonfalone, non c’è la banda e la cerimonia è molto spartana.
La pandemia Covid-19 non ci permette e noi non ci possiamo permettere di creare assembramenti che possano contribuire in qualche nodo alla diffusione del virus nella nostra piccola comunità.
Il valore e l’importanza di questa ricorrenza consistono non solo nel non dimenticare le tante, tantissime, vite umane spezzate dall’odio della guerra, ma anche nel desiderio e negli ideali di materializzare principi e valori altissimi, nobili, vissuti dai nostri avi.
Ringrazio i nostri eroi per quello che ci hanno fatto e per l’eredità lasciata per la costruzione di una società migliore, più democratica e unita.
Anche nel 2021 ancora stiamo affrontando la guerra silenziosa degli attacchi del virus Covid-19.
Quando si parla del 4 novembre non posso non ricordare le battaglie più significative e più dolorose che gettarono le basi per l’Unità d’Italia.
La battaglia sul fiume Piave, che vide marciare il nostro esercito coraggioso verso l’Austria; battaglia che fu una delle più gloriose della storia d’Italia: costò all’Austria 150.000 uomini. Ma anche la sconfitta di Caporetto del 1917, allorquando le truppe italiane ebbero l’ordine di arretrare. La battaglia di Monte Grappa dove si decisero le sorti della guerra. La poderosa offensiva scatenata dagli austriaci nel giugno 1918 si disgregò contro l’eroica resistenza degli italiani e le divisioni nemiche vennero sconfitte e incalzate dalle nostre valorose truppe.
Ma oggi come allora, le nostre Forze Armate hanno un ruolo decisivo che con grande sacrificio e senso del dovere permettono una convivenza civile e pacifica su tutto il territorio della Repubblica. Durante il periodo più buio e triste della pandemia le Forze dell’Ordine sono state ancora una volta in prima linea.
La nostra serenità e tranquillità di cittadini spesso è commisurata alla presenza dello Stato con i propri Agenti nelle nostre Comunità.
Per tutto questo e per tutto il resto
Viva le Forze Armate, Viva la Repubblica, Viva l'Italia.
Francavilla Angitola, lì 04.11.2021
Il Sindaco
Giuseppe Pizzonia
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“DONNE CHE HANNO VISSUTO LA GUERRA” di SONIA VAZZANO
In concomitanza con le rituali onoranze del “IV Novembre” che si tributano ai Caduti e ai combattenti di tutte le guerre, abbiamo il piacere di pubblicare la prolusione tenuta a Roma il 23-11-2012 dalla dottoressa,originaria di Francavilla,SONIA VAZZANO, in occasione della presentazione a Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, del libro di Vincenzo Davoli “Buone notizie e pronta risposta – volume II – Caduti francavillesi nella Seconda guerra mondiale”.
“Quando si cerca di preparare una presentazione di un libro
come questo, ci si interroga sempre su cosa dire all’inizio, perché sia chiaro da subito agli ascoltatori chi sta parlando o qual è il percorso e la scansione che si cercherà di seguire. Io, vi dico da subito, che non procederò così.
Non ho percorsi, né scansioni da offrirvi nella mia lettura diqueste pagine. Vorrei solo raccontare emozioni: quelle che ho vissuto ioleggendo questo libro e quelle soprattutto che ho immaginato fossero vive, sia nei protagonisti di queste pagine sia nell’intento dell’autore delle stesse.Due cose mi hanno colpito in questi ultimi giorni, mentre cercavo di capire cosa mi sarebbe piaciuto di più dirvi e proprio da queste cercherò di partire. Solo che la prima ve la dirò subito, mentre la seconda me la riservo per la fine di questo intervento.
E allora la prima è l’esplicita richiesta che l’ingegnere Davoli mi ha fatto per questa presentazione: mi ha chiesto di parlare delle donne che hanno vissuto la guerra; che non l’hanno vissuta sui campi di battaglia tradizionali, ma comunque sempre su veri campi di battaglia.Perché è vero che c’è una guerra che gli uomini combattono in prima persona (e ora a dire il vero anche le donne...), ma c’è anche la guerra dell’attesa silenziosa, ma operante di chi i propri cari ce l’ha nel cuore, e rimane a casa, mentre li vede partire, senza poter far nulla. Senza sapere se li vedrà mai tornare, se potrà riabbracciarli, se conserveranno tra gli spari e le bombe il ricordo di una vita condivisa.
E allora alla richiesta di Davoli rispondo con la mia personale, credo, lettura un po’ trasversale di queste pagine, che va al di là delle righe che ho letto e che cerca di intrecciare spazi e tempi che non sono forse così espliciti o esplicitati. E per questo comincio subito dalla nascita di questo libro. Che secondo me coincide un po’ con la traccia del mio intervento di questa sera.
Non so se Davoli ci ha mai pensato, o se se l’è mai chiesto veramente: ma queste pagine quando sono venute alla luce? Io credo, quando l’autore, aveva appena 8 anni... Ce lo racconta del resto lui stesso mentre parla della famiglia Meo. Il signor Giuseppe, ferroviere amico del papà, e la signora Giuseppina. In uno dei suoi soggiorni presso questa famiglia di Paola, Davoli, in un pomeriggio, rimase stupito nell’osservare proprio Giuseppina, inginocchiata e assorta, in muta preghiera, di fronte ad una mensola, sulla quale era posata una lampada ad olio, la cui fiammella rischiarava un grande ritratto di un giovane in divisa da ufficiale.Era quello del figlio della famiglia Meo, Giorgio, sottotenente crotonese morto a Cefalonia.
E quella lampada, di cui parlava Davoli, mi ha fatto pensare ad un’altra lampada ad olio, che c’è in questo libro, e dalla quale vorrei partire. È la lampada attraverso la quale si descrive il ritratto di una donna, Teresa, che un poeta francavillese, Vittorio Torchia, ci ha regalato in alcuni suoi versi, peraltro ricordati dallo stesso Davoli, dal titolo “La casa di Teresa”:
«Due ante di ulivo seccate / e l’architrave pur esso / d’ulivo / la casa di Teresa chiudono. /
Se tiri una nocca annodata / si spalanca la porta / e un mondo ai vetri / della cristalliera vibra./
Ritratti di giovani e vecchi, / moderni ed antichi, / di vivi, di morti, di sposi,/ di bimbi, e di soldati caduti illuminati / da una lampa accanto. / La lampa d’olio d’oliva / ancora trattiene / le rare illusioni / di Teresa già vecchia / e minuta».
Ho scelto questi versi, perché mi ha commosso molto la figura di Teresa. Ve la racconto brevemente. È una “ragazza madre”. E già questa è una situazione che in un piccolo paese della Calabria poteva fare notizia a quei tempi, e forse anche ora... In guerra perde suo figlio Vincenzo, che non avendo un padre, assume come cognome, Russo, che è quello di sua madre. Ma Teresa non è solo una madre. Sul Carso, ad esempio, perde anche suo fratello, Vincenzo, e in Grecia, probabilmente, suo genero.
Teresa cosa rappresenta quindi per noi?
Io la definirei come la terza dimensione di queste pagine. E mi spiego.
Alle coordinate dello spazio e del tempo che fin da subito sono chiare in un libro come questo si unisce una terza dimensione, che è quella di uno spazio senza tempo, se volete, o di un tempo senza uno spazio. Non so se i fisici o i matematici sarebbero d’accordo con un linguaggio di questo tipo, ma è ciò a cui ho pensato da subito interrogandomi sulla figura delle donne che “accompagnavano” nei loro percorsi i militari in guerra.
E vorrei parlarvi di esse attraverso tre linguaggi metaforici diversi che le donne ritratte in queste pagine utilizzano per raccontare di se stesse e della vita dei loro cari: questi linguaggi sono l’immagine, la parola/lettera e la preghiera.
Un’immagine mi si è stampata subito nella mente: quella di Barbara, sorella di Domenico Farina.
È una sorella che vede partire il proprio fratello per la guerra, con il suo zaino carico sulle spalle, allontanandosi a piedi per prendere il treno nella vicina stazione di Francavilla.Cosa c’è nello sguardo carico di distacco di Barbara? Paura, commozione, trepidazione, angoscia, speranza...
Sicuramente tutte queste cose insieme. Ma di questa donna sapete cosa colpisce di più: il desiderio dimantenere vivo il ricordo. Ma quale ricordo? Certo, del fratello ci dice di custodire nel cuore i toni della voce e le care sembianze; ma, sapete, il suo sforzo a che cosa è davvero rivolto?
Ai suoi figli: perché ricordino lo zio partito per il fronte. E allora, cosa fa? Fa preparare ad un fotografo uno di quelli che noi oggi chiameremo fotomontaggi e che ciascuno di noi un po’ abile con Photoshop può preparare anche da sé: prende una foto di suo fratello e la fa incastonare tra una sua foto e una della cognata. Non che serva una foto per mantenere vivo il ricordo, ma di certo una fotografia è una condivisione per chi come noi non vive in prima persona una situazione, e che vogliamo rendere comunque partecipe dei nostri sguardi. E del nostro cuore, in ogni cosa che guardiamo. Barbara attraverso l’immagine preserva il ricordo del fratello.
E che l’immagine, come linguaggio fosse così importante, lo capiamo anche dalla consuetudine di qualche militare al fronte di spedire una sua fotografia alla moglie, perché i loro figli potessero vedere com’era fatto, visto che non lo avevano mai conosciuto. Questo per farvi capire come le donne utilizzino l’immagine per comunicare i propri sentimenti. Ma dalle immagini, dalle fotografie, è possibile anche capire qualcosa di più di queste donne? Io credo di sì.
Dalle fotografie che Davoli pubblica nel suo libro c’è ad esempio quella della famiglia del soldato Peppino Lazzaro in cui si svela da subito il ritratto della sorella. Che, morto il padre, prende in carico tutta la famiglia. Bada ai due giovani fratelli, si occupa delle faccende domestiche, esegue lavori di cucito, maglieria e ricamo (impegna perfino tutti i suoi averi per comprare una mitica Singer, la macchina da cucire che le darà da vivere), lavora nei campi. Fa, insomma, tutto quello, e anche di più, di ciò che un uomo in genere fa. E si vede che è una donna super...
Poi c’è il secondo tipo di linguaggio metaforico, dal quale possiamo capire qualcosa di più di queste donne, che è quello della parola, della scrittura. E qui sarebbe stato bello, ma forse quasi impossibile, recuperare le lettere che le donne scrivevano ai militari al fronte. Cerchiamo però di intravvedere un po’ di quei contenuti in ciò che gli uomini scrivevano. Quando parlavano del loro senso del dovere, dell’anelito di ogni buon combattente, degli sfoghi per la vita militare, dura e a volte anche noiosa, della speranza per il ritorno. La cosa che colpisce di più è che nella scrittura alle loro donne, fossero madri, mogli, sorelle, figlie..., i militari al fronte ritornavano bambini, si scoprivano poeti, diventavano grandi uomini.Non perché la guerra li rendesse grandi, ma perché nel racconto di quella loro grande esperienza riscoprivano se stessi, il senso vero delle cose, della vita e soprattutto della fede. Sentite cosa scrive ad esempio Pasquale Scalese nella sua ultima lettera alla mamma Caterina:
«Iddio ci ha separato per tanto lungo tempo, ma Lui stesso penserà a riunirci facendoci dimenticare quel giorno in cui amaramente ci separammo. Vi penso sempre e sperando di potere ricevere almeno qualche vostro scritto bacio mio figlio e mia moglie e a te chiedo la santa benedizione».
Si parla in diverse lettere di questa “santa Benedizione”. E viene subito da pensare che la profondità di sentimenti e la delicatezza d’animo di uomini che spesso erano operai, o contadini..., veniva fuori proprio nel pensiero rivolto ad una donna. E qui i poeti del Duecento e del Trecento sorriderebbero se ci ascoltassero, convinti di quanto già e più volte avevano ripetuto nei loro versi.
E ancora, in una sorta di lettera-diario indirizzata a sua madre, così si esprimeva Antonio Muzzì:
«È dolce sognare di morire fra le tue braccia, mamma».
Gli uomini poeti. La guerra faceva di uomini duri e il più delle volte analfabeti uomini capaci di riflessione interiore profonda.Perché spesso parliamo di maturità che cresce sui campi di battaglia, in un contesto in cui ci si sente “tutti uguali”, perché la guerra forse ci rende un po’ così, ma in realtà non è davvero cosi. E anche i soldati lo sapevano.
Lo sapeva Giovanni Battista Limardi, il poeta di queste pagine che scrive con una dote che non è comune a tutti. Così si rivolge alla madre:
«Mamma t’ho sognato... t’ho vista vecchia, sì... ma bella come una fata, la ruvida fronte ti bacio».
E alla sorella scrive:
«Da tanto lontano, il mio pensiero a te è rivolto; vedo la tua bella mano; rimango pensieroso, con le lacrime nel volto... Un solo pensiero mi offusca la mente; se ritorno per quel sentiero ove uniti trascorrevamo, sempre... Tu per mia parte da’ animo alla Mamma; assicurala di certo che il fratello tuo... Ritorna... Ritorno... per non allontanarmi più, finché Iddio non mi chiama per unirmi con mio fratello che sta lassù... Ma come quaggiù..... così lassù prego per te, con fraterno amore, che ti amo
di più...».
Le nostre donne sono madri, mogli e poi vedove, figlie, e se anche sembra che si scriva più alle madri che alle mogli... in realtà si sta scrivendo alle donne. E basta. A chi rende la vita, anche quella in guerra, una vita diversa. Perché si sa, una casa senza una moglie o senza una madre, non è una casa completa. E forse ancor di più lontano da casa lo si sperimenta. E mi viene qui da pensare ad una canzone che piaceva tanto a mia nonna e che mia mamma mi cantava spesso, che diceva:
«Mamma, son tanto felice, perché ritorno da te».
Le parole non sono però solo quelle scritte, ma anche quelle ascoltate…Uno dei momenti che sicuramente queste donne avranno vissuto in prima persona sarà stato l’arrivo delle notizie dei militari al fronte. In alcuni casi erano notizie buone, nella lettura ad esempio delle liste dei deceduti in cui si sperava sempre di non udire il nome dei propri cari; in altri casi però le notizie delle morti, specie in combattimento, arrivavano presto a Francavilla, come ci racconta Davoli. E alcune volte poteva succedere anche la cosa più spiacevole di tutte: che le donne fossero sole in casa ad accoglierle.
La notizia della morte di Vincenzo Attisani, ad esempio, avvenne proprio così. Nessun uomo era in casa, che potesse essere di sostegno e di conforto per la mamma Barbara, e per le sorelle Annita e Vittoria, e per la cognata Carmela, in quel momento in cui per la prima volta forse sperimentavano l’abbandono e lo smarrimento, nuovamente, dopo la partenza. Sapendo della morte del loro caro.
E in questi casi si faceva vivo da subito il desiderio di riavere almeno fra le braccia le spoglie dei loro cari su cui piangere. Se anche non bastava. E non c’era consolazione per tutta la vita, come in chi decideva di voler vestire sempre di nero in segno di rispetto per il proprio caro caduto in battaglia.
E ancora oggi, a Francavilla, quelle donne, vestite di nero, ci sono ancora... Altre volte, poi, se anche la notizia veniva riferita ai familiari con tatto e cautela speciali, lasciava comunque un segno. La morte di Foca Attisani, per esempio, fu accolta dalla moglie Barbara al terzo mese di gravidanza; i suoi figli, uno di 3 anni e uno di 6 rimasero attoniti, la madre non si riprese quasi più e la stessa moglie nella sua abitazione osservò, ci racconta Davoli, un mese di lutto stretto sciogliendo la chioma dei capelli, disarmando il letto matrimoniale, staccandone testiera e pediera, poggiando i materassi sul pavimento. Ma la vita continuava, e sei mesi dopo la morte del marito, Barbara partoriva il suo terzogenito. E allora, che cosa rimaneva, nei cuori di questi uomini al fronte e di queste donne nella battaglia di ogni giorno, in una vita dura, da sole, senza padri, mariti e figli...
Forse, rimaneva solo la speranza, che nasceva dalla preghiera. La devozione alla Madonna delle Grazie, per esempio, accompagnava tanti dei militari francavillesi in guerra. Davoli ci racconta di affidamenti speciali di ogni uomo alla Vergine di quella chiesa ai piedi del paese, prima di partire, e di come le mogli custodissero nel cuore e raccontassero ai loro figli quella grande devozione che li svelava piccoli, eppure così grandi.
A Francavilla, ancora oggi, quella Madonna delle Grazie è al centro della venerazione di molti fedeli.
E qualche volta, quando nella memoria non rimaneva nulla, come per esempio nel caso di un soldato di fanteria chiamato Domenico Maida, nessuna notizia e nemmeno la moglie Maria ne aveva mai avute e di lui ricordava solamente che era partito con il suo reggimento dopo appena un mese di matrimonio, senza che le fosse comunicato il luogo in cui era stato inviato, il pensiero andava a quei santini che i combattenti portavano con loro in battaglia, e che spesso ritraevano quella Vergine delle Grazie alla quale chiedevano la speranza di un ritorno.
E allora non stupisce come don Gnocchi nel suo libro “Cristo con gli alpini” indirizzasse agli italiani che presero parte alla campagna di Russia l’esclamazione:
«Dio fu con loro ma gli uomini furono degni di Dio».
E non colpisce neanche che sulla tomba di un soldato ignoto, ci fosse incisa la frase, che Davoli riporta:
«Ogni mattina, mamma, ed ogni sera io sento l’eco della tua preghiera!».
E allora immagine, parole, preghiera.Sono i segni delle donne che combatterono accanto ai loro uomini la Seconda Guerra Mondiale. Le donne di ogni posto del mondo. Ma quelle che oggi celebriamo sono le donne di Calabria. Le donne di una terra in cui, nonostante le difficoltà, fioriscono ancora emozioni. Le donne di una terra che una persona una volta mi ha descritto così in un dono di ascolto della mia realtà, della realtà che ho vissuto da figlia adottiva e che nel bene e nel male mi ha segnato, e della quale sono frutto anch’io, che stasera vi regalo, concludendo questo mio intervento.
«Cosa mi colpisce della Calabria? Il blu intenso del mare. La cordialità delle persone. I silenzi ruvidi della gente semplice. Gli odori della natura ancora selvatica che ha in sé maternamente la vita e la morte».
In quella maternità, fatta di vita e di morte, ci stanno le donne che hanno vissuto la guerra come gli uomini. Quelle che la vivono ogni giorno. E quelle che da ogni guerra danno agli uomini la forza per ricominciare. Anche dalle ferite. E allora ringrazio l’autore di questo libro perché mi ha dato l’opportunità di raccontare, da donna, pagine di guerra che in genere non sono solo pagine di uomini, ma solo pagine di vita. Di uomini e donne insieme.”
ROMA 23 NOVEMBRE 2012 SONIA VAZZANO |
IL NOVECENTO....
Ricordo di Personaggi francavillesi.
Caro avvocato Armando Mannacio, dò del tu perchè eri tu che mi chiedevi di darcelo, anche se timido esitavo, ricordo le tue venute a Franvicavilla e le nostre lughe passeggiate sul Viale del Drago, eri tu a parlarmi della storia di Francavilla, perchè avrei letto e conservato con amore tutto il materiale archivistico della tua famiglia. Più gioiosi gli incontri estivi alla Marinella. dove tu, appassionato di pesca assieme a tuo figlio, indicavi i luoghi dove abbondavano le buone prede. Sei stato sempre un appassionato della caccia e spesso passavi le ore notturne a casa mia, con mio padre e altri amici, per preparare cartucce e quant'altro utile per avventurarsi sui luoghi ben conosciuti.
Ho scritto e pubblicato due libri di memorie storiche, ma i tempi sono cambiati e non tanto interessa la storia del paese, ai tuoi tempi pieno di vita, dedicandosi alla vita politica elettorale locale, da te per sempre lasciata nel 1960, anno in cui ti sei trasferito per esercitar la professione forense, aprendo studi non solo a Milano ma anche a Bergamo. Ora il paese è spopolato ed i problemi sono tragici. Tenterò di pubblicare qualcosa sulla tua famiglia, perchè qualche francavillese che vuole conoscere persone e fatti del passato credo che ancora ci sia.-
E' rammentato, nella motivazione del Diploma che l'Ordine Forense Milanese, a te concesso, che la tua famiglia ha una tradizione forense forse di 200 anni, sono più, e ancora continua con tuo figlio e tua nipote Maria Vittoria.
Iniziamo partendo da don Nicola Mannacio, illustre legale.
Don Nicolò Mannacio dottore di legge, vive nobilmente d’anni 30
Donna Antonia Morano moglie d’anni 33
Donna Maria Anna figlia d’anni 4
Donna Irone figlia d’anni 3
Donna Costanza figlia d’anni 1
Donna Giulia Bono Madre Vedova d’anni 50
Don Pasquale fratello d’anni 14
Don Vincenzo fratello d’anni 13
Donna Agnesa sorella bizoca d’anni 27
Donna Rosa Maria sorella bizoca d’anni 25
Sor Anna naturale d’anni 40
Gennaro Attisano servo d’anni 26
Francesca Maviglia nutrice d’anni 38
Catarina Silvaggio serva d’anni 35
Rosaria Serrao serva d’anni 18.
Abita in casa propria in luogo detto la Chiesa Madre, giusta i beni del Sig. Giuseppe Antonio Accetta. Esige d’Antonio e Nicola Muzzì, da Nicola e Francesco Colicchio, da Francesco Pileci e da altri particolari di questa Terra in partite minute, come appare dal rivelo e dallo spoglio, sopra più territori e case per censo perpetui e bullali, al nove per cento, ducati quarantadue e un tornese. Possiede una casa affittata a Carmine Rondinelli, in luogo detto il Castello, giusta i beni del medesimo e paga carlini trenta che, dedotto il quarto di riparazione, restano carlini ventidue e mezzo. Un’altra casa in detto luogo contigua alla su detta, affittata ad Antonio Cortese per carlini trenta che, dedotto il quarto di riparazione, restano carlini ventidue e mezzo. Più esige da Don Stefano Morano di Polìa e da Don Marzano dei Marzani, per resto di dote, annui ducati quaranta, i quali si devono catastare nella Patria dei debitori. Possiede un territorio in luogo detto Cardirò di moggia sessanta, giusta i beni di Domenico Bonello e gli eredi di Antonio Bonello, rivelata la rendita per annui ducati trentasette. Altro detto la Citràra, l’Ulmo e Cannalello di moggia settantacinque in tre partite, giusta i beni di Teresa Villello, Domenico Spezano, fiume corrente e Don Michiel’Angelo Mannaci, stimata la rendita per annui ducati trentacinque. Altro detto Garciopoli di moggia quattro, giusta i beni della Cappella di S. Anna e del Sig. Pietro Ruffo, rivelata la rendita per annui ducati quattro. Possiede un orto di un moggio per comodo di casa in luogo detto la Fontanella, giusta i beni di Giacinto Quaranta. Tiene un cavallo per uso proprio. Tiene un trappeto d’olio non macinante per quest’anno in luogo detto il Bivièro, giusta i beni della Cappella di S. Anna e via pubblica. Sono once 404, 10½. Pesi da dedursi: Alla Ducal Corte di Monteleone censo perpetuo sopra Cardirò, annui ducati cinque. Alla Ducal Corte di Francavilla censo perpetuo sopra la Citràra, annui grana tredici e mezzo. Alla Mensa Vescovile di Nicotera sopra l’Ulmo carlini diciassette e mezzo di censo perpetuo. All’Illustre Marchese di Vallelonga per capitale di ducati settecentoquarantuno, annui ducati ventinove e grana quaranta. Al convento del Carmine del Pizzo per capitale di ducati cento, annui ducati nove. Alla Cappella di San Diego del Pizzo per capitale di ducati settantadue, annui ducati quattro e carlini otto. Sono once 166,28½. Restano di netto once 241,17.
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SULLA FAMIGLIA MANNACIO
Quella dei Mannacio è stata tra le più antiche e illustri famiglie francavillesi. Una della quattro porte del borgo medievale portava il suo nome, confermando la sua esistenza a decorrere dal 1400. Ilario Tranquillo, nella prefazione alla sua citata opera, scrive che un guerriero, appartenente a questa famiglia, nella difesa del borgo da un assalto piratesco, sia stato tanto valoroso da mettere in fuga i nemici e salvare così i suoi concittadini che, per gratitudine, diedero il suo nome alla porta eroicamente difesa. Sorvolando su questa tradizione rammentata dall'illustre canonico di Pizzo, senza alcun dubbio questa famiglia ebbe importanti personaggi sino ai nostri giorni. Il ceppo originario è di Francavilla e nel secolo dei Lumi si diramò in altri comuni. Agli inizi del 1700 Tommaso Mannacio aveva sposato la nobildonna Giulia Bono, illustre casato originario di Gerace. Verso il 172° don Tommaso si trasferì a Pizzo, dove edificò un suo palazzo. Per vicende familiari e per grandi incarichi avuti dal Marchese di Vallelonga, fu presente anche a San Nicola della Junca, casale di Vallelonga, ora San Nicola da Crissa, dove si ebbe un suo ramo. Non aveva abbandonato la sua Francavilla, aveva lasciato il figlio don Nicola, brillante avvocato, la moglie donna Giulia, altri figli e fratelli. Parlare, pertanto, della famiglia Mannacio è parlare di quasi tutti i comuni del bacino angitolano. Importanti matrimoni resero più illustre la famiglia. Ad esempio, il citato figlio avvocato Nicola aveva sposato donna Antonia Morano, la cui famiglia era imparentata con quella dei Lipari e con Marzano dei Marzani, famiglia titolata di Roccangitola come i Tranquillo.
In vari riscontrati documenti, anche nella platea ducale, sono citati come possessori di beni a Francavilla il ramo dei Mannacio di Pizzo, non quelli di San Nicola da Crissa.
I Mannacio possedevano, nella chiesa del convento agostiniano, un proprio sepolcro familiare.
Di Vincenzo A. Ruperto |
CENTO NOMI di MARIA – Parte seconda
In concomitanza con la festività della Madonna del Rosario (7 ottobre 2021) pubblichiamo la seconda parte della ricerca svolta da Vincenzo Davoli sui “Cento nomi di Maria”.
50) LOREDANA – Versione italiana moderna di Lauretana, cioè della Madonna di Loreto, festa 10 dicembre.
51) LORETTA–I francesi traducono Loreto in “Lorette”, da cui deriva tale nome femminile.
52) LOURDES – Dal toponimo del famoso santuario francese dell’Immacolata Concezione- festa 11 febbraio.
53) LUCE –Nome non molto frequente in Italia; nel Centro Sud (Lazio, Puglie, Calabria e Sicilia) è legato alla Madonna della Luce; la data della festa cambia a seconda del luogo. Molto più diffusa la versione spagnola LUZ, presente non solo in Spagna e America Latina, ma anche in altri Paesi dell’Occidente.
54) LUJAN – Deriva dal toponimo di un santuario mariano argentino. Diffuso soprattutto in Argentina; ma l’Immacolata di Lujan, non solo è la Patrona dell’Argentina, ma anche di Paraguay e Uruguay. Festa l’8 maggio.
55) LUPE/LUPITA – Versioni ipocoristiche (ossia abbreviate/vezzeggiative) del nome mariano Guadalupe, diffuse in Spagna e in America Latina; si festeggia il 12 dicembre.
57) MACARENA– Toponimo di un rione di Siviglia dove c’è la chiesa di San Gil con la Madonna Macarena, tanto venerata da essere proclamata Regina di Siviglia. Festa ed onomastico al 18 dicembre.
58) MANON –In francese è diminutivo di Marie; assai popolare nel mondo grazie alle opere liriche, Manon di Massenet e Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
60) MARIA – L’onomastico si celebrail 12 settembre, festa del Nome di Maria.
61) MARIANA/MARIANO – Pur potendo derivare dall’antico nome latino Mario, sia il nome femminile che quello maschile (abbastanza diffusi in Italia) hanno un’inconfondibile legame col nome della Santissima Vergine.
62) MARIARCA –Nome tipico del Napoletano attribuito sia in onore della Madonna dell’Arco, con Santuario aSanta Anastasia, sia a bimbe nate il 1°gennaio, poiché si riteneva che “arca” derivasse dal greco archē, cioècapodanno.
62) MARICA – Negli ultimi anni si è affermato in Italia come nome semplice femminile in sostituzione del nome complesso Maria Carmela; ovviamente l’onomastico cade il 16 luglio, festività della Madonna del Carmelo.
63) MARISA – Pur sembrando un nome semplice, deriva dall’unione dei nomi Maria e Luisa. Molto popolare in Italia, è nome “mariano” solo a metà.
64) MARISOL – Nome femminile spagnolo, ma poi diffuso anche in America Latina; nasce dall’unione del nome Maria con Sol (il Sole) o con Soledad(solitudine); dunque è “mariano” soltanto a metà.
65) MARUSCA – Da Maruska, variante vezzeggiativa del nome Maria (frequente in Russia e nella Repubblica Ceca) adattata alla grafia italiana; corrisponde a Mariella, a Mariuccia.
66) MASCIA –In lingue slave (russo, croato, sloveno) è un vezzeggiativo di Maria; talvolta è usato anche in Italia.
67) MERCEDES – Plurale spagnolo di “merced”, che significa ricompensa gratuita, grazia; come nome femminile la versione spagnola Mercedes prevale sull’italiana Mercede. La devozione mariana fu diffusa dai religiosi “Mercedari”, il cui Ordine fu fondato da san Pietro Nolasco, con lo scopo precipuo di riscattare i cristiani divenuti schiavi dei musulmani o dei pirati saraceni. La festa della B. Vergine della Mercede si svolge il 24 settembre.
68) MIA – Ipocoristico vezzeggiativo di Maria, che partendo dal Nord Europa si iniziaad usare anche in Italia.
69) MILAGROS– Questo nome mariano femminile è il plurale spagnolo del sostantivo “miracolo”, perciò deriva dalla denominazione Virgen de los Milagros.
70) MIRIAM–Nome ebraico da cui poi è derivato il greco/latino Maria. Da Miriam deriva anche il nome Miriana, che negli ultimi anni si è andato diffondendo anche in Italia.
71) MONTAGNA/MONTAGNINA –Rari nomi attribuiti in Calabria in onore della Madonna della Montagna di Polsi a San Luca (RC); festa solenne il 2 settembre.
72) MONTSERRAT –Nome femminile noto in Italia grazie all’omonimo santuario mariano in Catalogna (tradotto in Italia come Monserrato) e al famoso soprano MontserratCaballè. Onomastico il 27 aprile, festa di tale Madonna.
73) MORENA–Appellativo tipico della Madonna di Guadalupe, Patrona del Messico (festa 12 dicembre)
74) NOVELLA– Usato soprattutto in Toscana in onore di Santa Maria Novella; spesso attribuito all’ultimogenita, alla figlia femmina più giovane.
75) NIVES – Nome legato al titolo latino Maria ad nives, per la leggendaria nevicata del 5 agosto sul colle Esquilino a Roma, nel luogo dove fu poi eretta la Basilica di Santa Maria Maggiore. La Madonna ad nivesè venerata in molti paesi italiani, non solo di montagna; nel Vibonese è venerata a Mesiano, Zaccanopoli e soprattutto a Zungri.
76)NUNZIA/NUNZIANTE–Nomi connessi alla festività dell’Annunciazione (25 marzo); ma il femminile Nunzia è legato alla Madonna, mentre il maschile Nunziante, essendo un participio presente, riguarda Gabriele,
l’Arcangelo che annunciò alla Vergine Maria la nascita del figlio Gesù per opera dello Spirito Santo.
77) NURIA–Nome devozionale spagnolo preso dal toponimo di un paese dei Pirenei catalani, in cui si venera la N.S. de Nuria, la cui festa si celebra il 2 maggio.
78) PACE – Oltre all’originario significato di “assenza di conflitti e di tensioni” sia nei rapporti tra gli Stati sia nelle relazioni tra le persone, il nome “Pace” assume una connotazione mariana se è derivato dal titolo della litania Regina pacis. L’onomastico può essere celebrato l’8 giugno da cristiani, da aderenti ad altre religioni e dagli atei.
79) PALOMA – Virgen de la Paloma è una tela della Madonna assai venerata dal popolo madrileno; il quadro si trova nell’omonima chiesa di Madrid, che prende tale nome perché è sita in calle de la Paloma (via della Colomba). Paloma è il nome della figlia di Picasso. La Madonna è Patrona dei pompieri di Madrid; si festeggia il 15 agosto.
80) PETTORUTA –Rarissimo nome mariano, presente in Calabria, in onore della Madonna del Pettoruto venerata nel Santuario di San Sosti (CS) con festa dal 1° all’8 settembre.
81) PILAR = pilastro, in spagnolo. La Virgen del Pilar, venerata nell’omonimo santuario di Saragozza e in Aragona, è considerata Patrona dei popoli ispanici; festa al 12 ottobre.
82) PILERIA/PILERIO – La Madonna del Pilerio è Patrona di Cosenza e dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano; si festeggia il 12 febbraio. Più frequente il nome femminile Pileria; assai raro il nome maschile Pilerio.
83)POLSINA – Rarissimo nome femminile calabrese, derivato dalla Madonna della Montagna venerata nel Santuario aspromontano di Polsi, a San Luca (RC).
84) PROVVIDENZA – Nome mariano in quanto legato alla Madonna della Provvidenza e alla Madre della divina Provvidenza, protettrice della congregazione dei Barnabiti. Nome presente soprattutto in Sicilia; l’onomastico si suole celebrare il 3° sabato di ottobre.
85) REGINA– Oltre all’ovvio auspicio di augurare ad una neonata di essere bella, ricca, fortunata come una regina, il nome ha una forte valenza mariana grazie ai numerosi titoli di Regina (degli angeli, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli …. della pace) invocati nelle litanie lauretane. Il 22 agosto si celebra la festa della B.V. Maria Regina.
86) REMEDIOS/Rimedia – Il nome (spagnolo plurale) derivato da N.S. de losRemediosè molto più diffuso di quello italiano; il nome Rimedia è presente qua e là in paesi della Sardegna centro-meridionale (Oristanese, Orosei, Giba).
87)RIPALTA– Nome devozionale usato in Puglia in onore della Madonna di Ripalta, Patrona di Cerignola (FG),
festeggiata l’8 settembre.
88) ROCIO = rugiada, in spagnolo. Nome desunto dalla Madonna, venerata nell’eremo del Rocio, nei pressi di Belmonte (Andalusia). Il lunedì di Pentecoste si svolge la romeria del Rocio, pellegrinaggio che raduna ogni anno un milione di persone. Oltre alla Spagna il nome Rocio è portato anche da donne dell’America Latina.
89)ROSARIA, ispirato alla Madonna del Rosario, che si festeggia il 7 ottobre, in memoria della battaglia di Lepanto (7-10-1571) in cui la flotta cristiana sconfisse quella ottomana. Il nome Rosario in Italia è attribuito ai maschi, mentre nei Paesi di lingua spagnola è nome femminile, dato alle donne in onore della Virgen del Rosario.
90) SALVATRICE – Oltre ad essere la versione femminile di Salvatore, questo nome ha pure un’origine mariana, ispirata alla Madonna di Porto Salvo, le cui chiese o santuari sono siti soprattutto in Calabria e in Sicilia.
91) SANTA – Versione italiana del nome greco Panaghia (Tuttasanta). L’onomastico di “Santa” di norma si festeggia il 1° novembre; a Siracusa la festa di Santa Maria Panaghia si celebra l’ultima domenica di maggio.
92) SAPIENZA – Se il nome greco Sophia indica la “sapienza divina”, l’italiano “Sapienza”, traduzione letterale del latino “Sapientia” è invece un attributo mariano derivato da titoli come “Sedessapientiae” o “Mater sapientae”.
Le donne di nome “Sapienza” possono festeggiare l’onomastico il 1° novembre.
93) SCHIAVONEA– A Schiavonea, borgo marinaro di “Corigliano Rossano”, da secoli si venera la Madonna delle nevi. In suo onore è stata edificata una chiesa denominata “Santuario Maria SS. di Schiavonea”. La sua festa, in base al titolo originario di Maria ad nives, si celebra il 5 agosto, ma la Madonna localmente è così tanto venerata che alcune famiglie attribuiscono a qualcuna delle loro figlie il nome “Schiavonea”. Ne risultache nella nuova città calabrese si ritrovano, anche se alquanto rari, due nomi mariani assai singolari: Schiavonea nell’ex Corigliano, Achiropita nell’ex Rossano.
94) SIPONTINA– Deriva da Siponto, antica città e diocesi romana sull’Adriatico pugliese, distrutta dal terremoto nel sec. XIV. Nella cattedrale dell’antica Siponto era venerata un’icona, dipinta su tavola lignea, della Madonna Odigitria, risalente al sec. XI. Dopo il terremoto, la sede vescovile fu trasferita (1327) nella vicina nuova città di Manfredonia ed anche l’icona della Madonna, conservando l’appellativo di Sipontina, fu spostata nella cattedrale eretta a Manfredonia. Tuttora gli abitanti di Manfredonia sono chiamati “sipontini”. Le donne di nome Sipontina fanno l’onomasticoil 30 agosto, festa dell’antica Patrona prima di Siponto, poi di Manfredonia.
95) SOCCORSA – Nome devozionale legato alla Madonna del Soccorso, il cui culto a partire dal 1300 fu diffuso dai Padri Agostiniani per tutta l’Italia e in altri paesi europei. La data della festa cambia a seconda dei luoghi. A Monterosso Calabro (VV) è presente anche la versione maschile “Soccorso”.
96) SOLEDAD= solitudine, in spagnolo. Nome femminile diffuso in Spagna e in America Latina (specialmente nel Messico, connesso al culto della Virgen de la Soledad, la cui festa si celebra principalmente il 18 dicembre. Negli stessi Paesi è presente anche il nome composto Marisol.
97) SPASIMINA– Nome legato alla Madonna dello Spasimo, particolarmente venerata a Palermo, dove nel primo decennio del Cinquecento (sec. XVI) si iniziò la costruzione di un grande complesso religioso (chiesa e monastero). Per la cappella gentilizia della famiglia Basilicò, che aveva finanziato la costruzione dell’edificio sacro, fu commissionata al grande Raffaello Sanzio una tela denominata “Andata al Calvario” poi nota come “Spasimo di Sicilia”, in quanto raffigura in modo mirabile lo sgomento di Maria dinnanzi a Gesù caduto a terra sotto il peso della Croce. Dato che i lavori edilizi, per motivi vari, non giunsero mai a termine, nel 1661 il capolavoro di Raffaello fu venduto al re di Spagna, Filippo IV, che se lo fece inviare a Madrid. Oggi il dipinto di Raffaello si trova nel Museo del Prado a Madrid. I palermitani, molto devoti alla Madonna titolare di un edificio sacro chepurtroppo è rimasto incompiuto, talvolta hanno attribuito a qualche loro figlia il nome Spasimina.
98) STERPETA – In segno di venerazione verso la Madonna dello Sterpeto, Patrona di Barletta, è antica usanza dare a neonate di quella zona, il suddetto nome mariano. La solennità della Madonna si celebra l’8 maggio.
99) STELLA – Il nome dell’astro celeste è correttamente presente nell’invocazione della litania: Stella matutina, cioè “Stella del mattino”.
Ben diverso è il titolo Stella Maris, in quanto il sostantivo giusto è Stilla=lacrima,e non l’astro celeste, che in latino e in italiano è detto Stella. Pertanto l’epiteto mariano non si dovrebbe tradurre Stella del mare, bensì “Lacrima del Mare”. Comunque in entrambe le versioni la Madonna viene invocata come Protettrice della Gente di Mare.
Invece nel nome composto “Mariastella” o “Maristella”,creato dall’unione di Maria e di Stella, Maria è presentata davvero come Stella, fulgente astro celeste.
100) STELLARIO – La caratteristica corona di 12 stelle, che adorna la testa dei quadri o di statue dell’Immacolata, in italiano è indicata col sostantivo maschile “stellario”. Ma in Sicilia, Stellario diventa un vero nome proprio maschile, inconfutabilmente mariano, poiché corrisponde esattamente al nome dell’ornamento dell’Immacolata.
101) TINDARA/TINDARO – Desunti entrambi dal toponimo del Santuario della Madonna Nera di Tindari, frazione di Patti (prov. Messina). L’onomastico ricorre il giorno della festa della Madonna: 8 settembre. Sia il nome femminile, sia la versione maschile sono discretamente presenti nel Messinese.
VINCENZO DAVOLI
CENTO NOMI DI MARIA- PRIMA PARTE
In concomitanza con la festa della Madonna delle Grazie, che a Francavilla Angitola si celebra nella terza domenica di settembre, pubblichiamo la prima parte di una ricerca svolta da Vincenzo Davoli sui tanti nomi propri di persona (nella maggioranza dei casi attribuiti soltanto a donne) cosiddetti “mariani” poiché sono in vario modo connessi con le diverse forme di devozionealla Madonna.
Nei Paesi di tradizione cattolica “maggio” è il “mese mariano” per eccellenza. In verità in tutti i mesi dell’anno ci sono feste e solennità in onore di Maria, la Santa Vergine Madre di Gesù Cristo. Ad esempio nel mese di settembre, oltre a numerose feste mariane locali, ci sono tre importanti ricorrenze celebrate in tutto il mondo cattolico: la Natività della Beata Vergine Maria (8 settembre), il Santissimo Nome di Maria (12 settembre), la Beata Vergine Addolorata (15 settembre). Analizzando le varie modalità di devozione alla Madonna, presenti soprattutto nella Chiesa Cattolica e in quelle Ortodosse, abbiamo reperito un centinaio di nomi propri di persona, ispirati al culto mariano. Oltre ai nomi in lingua italiana, ne indichiamo diversi in spagnolo, che poi si sono diffusi non solo in America Latina e nelle Filippine, dove il Cattolicesimo è in maggioranza, ma anche in altri Stati dove prevalgono i cristiani non cattolici; in certi nomi spagnolil’appellativo mariano femminile è costituito addirittura da un plurale maschile (esempi: Angeles = Maria de los Angeles; Milagros = M. de los Milagros; Remedios = M. de losRemedios).
Qui di seguito riportiamo, in ordine alfabetico, il centinaio di nomi mariani reperiti. Ci soffermiamo poco sui nomi più noti e più diffusi; diamo invece maggiori informazioni su quelli rari, presenti solo in alcune località, e su nomi assolutamente sconosciuti o di cui si ignorava la loro connessione con il culto mariano.
1) ABBONDANZA – Nome assai raro, legato a Maria, venerata come Madonna dell’Abbondanza in qualche luogo del Salento, in particolare a Cursi (LE), dove è festeggiata il 2° sabato di luglio.
2) ACHIROPITA = non fatta da mani (umane) in greco.Presente a Rossano Calabro (CS) e in paesi limitrofi; sovente abbinato a Maria, il nome diventa“Maria Achiropita”. Nella cattedrale di Rossano, su un pilastro della navata centrale, in un affresco antichissimo c’è l’immagine della Madonna a figura intera, che regge col braccio sinistro il Bambino. L’Achiropita è patrona di Rossano e dell’arcidiocesi di Rossano-Cariati; si festeggia il 15 agosto.
3) ADDOLORATA – Devozione diffusa in tanti luoghi. Si commemora il 15 settembre.
4) ALMUDENA – La cattedrale cattolica di Madrid è intitolata alla Virgen de Almudena;è quindi Patrona della capitale spagnola. L’onomastico si può festeggiare il giorno della festa, 9 novembre.
5) ALTAGRACIA - È l’appellativo della Patrona della Repubblica Domenicana; pertanto il nome è assai diffuso nell’isola di Santo Domingo. La sua festa ricorre il 21 gennaio.
6) AMABILE – Per quanto assai raro, in italiano può essere nome sia maschile che femminile. La versione femminile si lega al titolo Mater Amabilisdella litania mariana. Ad Ossago Lodigiano, in Lombardia, si trova il Santuario “Mater Amabilis”, con festività che si celebra il 25 aprile.
7) AMPARO = protezione. Nome femminile spagnolo, derivato dal titolo Virgen de losdesamparados =Vergine dei “senza protezione”, la cui devozione è abbastanza diffusa in Spagna, specialmente nella regione di Valencia e a Pamplona, dove la festa si celebra la 2ª domenica di maggio.
8) ANCILLA – Sostantivo latino che significa “serva”; nome femminile sull’eco della risposta data dalla Vergine Maria all’arcangelo Gabriele, che in latino suona: Ecce ancillaDomini; in italiano: Eccomi, sono la serva del Signore.
9) ANGELES – Deriva da Maria de los Angeles (in spagnolo, plurale maschile di Angel) ossia Maria degli Angeli, Madonna tanto venerata dai Francescani (festa 2 agosto). Ha dato il nome alla grande metropoli americana di Los Angeles, in California. La versione italiana più efficaceè MARIANGELA.
10) ANNUNZIATA – Rievoca l’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria. Festa il 25 marzo.
11) APARECIDA = apparsa. Nome femminile portoghese. Nella località omonima, sita in Brasile, stato di San Paolo fu trovata una statuina della Madonna. Secoli dopo vi fu eretto quello che ora è diventato il più grande Santuario mariano del mondo, visitato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e da papa Francesco. La festa della Patrona del Brasile è il 12 ottobre.
12) ARACELI –Nome usato in Spagna, dove a Lucena (Andalusia) si festeggia (I domenica di maggio) la Patrona Santa Maria Araceli, il cui attributo “altare del cielo” deriva dalla Basilica romana di Santa Maria in Aracoeli.
13) ARANTXA (pronuncia analoga ad arancia) – Diminutivo di Arantzazu, santuario mariano dei Paesi Baschi che prende nome da “ArantzanZu?” esclamazione in lingua basca traducibile in “Tu, tra gli spini?” fatta da un pastore stupito di trovare una statua della Vergine in un cespuglio spinoso, forse un biancospino. Alcune tenniste, anche non spagnole, si chiamano Arantxa; onomastico al 9 settembre, festa della Vergine di Arantzazu.
14)ARCA-ARCHETTA-ARCHINA – tre versioni di un nome mariano femminile, attribuito nel recente passato a neonate della Campania (oggi alquanto raro) in onore della Madonna dell’Arco- Santuario a Santa Anastasia (NA).
15) ASSUNTA – ovviamente connesso al dogma dell’Assunzione di Maria in cielo. Festa solenne il 15 agosto.
16) AUREA – nome alquanto raro, derivato dall’appellativo mariano Domus Aurea (casa d’oro) inserito nelle Litanie lauretane.
17) AUSILIA – L’uso di tale nome è stato favorito da Don Bosco, che scelse Maria Ausiliatrice (corrispondente all’invocazione della litania Auxilium Christianorum) come Patrona dei Salesiani. Festa il 24 maggio.
18) AVE – Nome derivato dal saluto “salve!”, in latino Ave, rivolto dall’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria.
19) AZUCENA = giglio. Nome spagnolo legato alla devozione a N. Signora Azucena, festeggiata il 15 agosto nella regione vinicola spagnola dellaRijoia.
20) BAMBINA o MARIA BAMBINA sono nomilegati alla nascita di Maria, figlia di Sant’Anna e di San Gioacchino. L’onomastico per tali nomi si può celebrare l’8 settembre, Natività della Beata Vergine Maria.
21)BEATA – Appellativo tratto dall’esclamazione di Elisabetta (Vangelo di Luca 1,45) “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” edalMagnificat (Luca 1,48) “tutte le generazioni mi chiameranno beata”.
22) BEGONIA – Versione italiana e catalana della Nostra Signora di Begoña, il cui nome è attribuito a neonate in prevalenza dei Paesi Baschi, dato che tale Madonna è Patrona di Bilbao e Biscaglia. Festa l’11 ottobre.
23) BENEDETTA – Maria andò a visitare la parente Elisabetta che era incinta del futuro Giovanni Battista. In risposta al saluto di Maria, Elisabetta esclamò: Benedettatu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! (Luca 1,42). Inserita nell’Ave Maria,Benedetta è uno degli epiteti più belli rivolti a Colei, che sarebbe divenuta madre di GesùCristo; perde invece tale valenza evangelica se il nome fosse soltanto la versione femminile di Benedetto.
24) BONARIA– Basilica di N.S. di Bonaria è il titolo del santuario, derivato dall’omonimo colle di Cagliari, dove sorge l’edificio dedicato alla Patrona massima della Sardegna. Chi porta tale nome fa l’onomastico il 24 aprile, giorno di festa della Madonna di Bonaria.
25) BRUNA –Qui non si tratta della versione femminile del nome “Bruno”, ma del titolo di una delle tante “Madonne nere” italiane. In particolare ci riferiamo alla Patrona di Matera, venerata col nome di “Madonna della Bruna”, con festa il 2 luglio, data in cui nel passato si commemorava la Visitazione di Maria ad Elisabetta. In onore della veneratissima Patrona moltissime donne materane portano il nome Bruna.
26) CANDELORA – Il 2 febbraio la Chiesa cattolica celebra la Presentazione di Gesù bambino al Tempio, cerimonia un tempo chiamata Purificazione della Vergine Maria, mentre il popolo cristiano la chiama festa della Candelora, perché vengono benedette le candele. In provincia di Reggio Calabria è presente anche il maschile, Candeloro.
27)CARIDAD = carità, non è usato in Italia come nome personale femminile. Nei Paesi di lingua spagnolaCaridadè un nome mariano, grazie alla devozione del popolo cubanoalla Madonna del Santuariode la Caridad del Cobre, sito presso Santiago de Cuba nel centro minerario di Cobre, così chiamato per l’estrazione di minerali di rame (cobrein spagnolo). La Virgen de la Caridad del Cobre, Patrona dell’isola di Cuba, viene festeggiata l’8 settembre.
28)CARMELA/CARMEN- Nomi legati alla molto venerata Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (festa il 16 luglio). Tale monte vicino al mare e rifugio del profeta Elia, in ebraico significa giardino di Dio; è il luogo di somma bellezza celebrato anche nella Bibbia, Cantico dei Cantici 7,5.
29) CELESTE/CELESTINA –Tali nomi femminili nascono come aggettivi da varie denominazioni mariane, come Regina coeli, Ianuacaeli, Mater caeli. Sovente sono scelti dalle donne che si fanno suore.
30) CIVITA o MARIA CIVITA – Nome usato soltanto nella zona di Itri (provincia di Latina) dove si trova il santuario Madonna della Civita, la cui festa si celebra il 21 luglio.
30) CLEMENZA – Nome femminile connesso alla Virgo clemensinvocata nelle litanie lauretane. Il nome maschile Clemente non ha connotazione mariana ed è invece legato ad omonimi Padri della Chiesa, Santi e Papi.
31) CONCETTA/CONCHITA –Connessi al dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. – Festa l’8 dicembre.
32) CONSIGLIA – Derivato dall’invocazione della litania “Mater boni consilii”, Madre del buon Consiglio; venerata in particolare a Genazzano (Roma) e Polia (VV) dove c’è anche il maschile Consiglio. Festa al 26 aprile.
33) CONSOLATA/CONSUELO – Legati alla B. Vergine Maria Consolatrice (festa liturgica il 20 giugno) e alla voce della litania: Consolatrixafflictorum. Patrona di molti luoghi, tra cui Torino e Reggio Calabria. Il femminile Consuelo,
usato anche in Italia, è in realtà un sostantivo maschile spagnolo traducibile in“consolazione, conforto”.
34)DESPINA- Nella Grecia antica erail nome di una ninfa; ma poiché significa “regina, signora” per i cristiani è divenuto un appellativo mariano. Le donne sposate lo festeggiano il 15 agosto, le nubili il 21 novembre.
35) DOLORES – In spagnolo è maschile plurale di “dolor”. Maria de los Dolores è simile ad Addolorata(festa 15 settembre).Il nome Dolores si trova anche in Italia e nella lingua inglese, dove è diffuso altresì il diminutivo Dolly.
Può sembrare strano ma anche i nomi Lola e Lolita, hanno una radice mariana, essendo entrambi vezzeggiativi e diminutivi di Dolores.
36) FATIMA – Questo classico nome arabo assume un valore cristiano dopo le apparizioni della Madonna a tre pastorelli a Fatima in Portogallo. Festa il 13 maggio, data della prima apparizione, avvenuta il 13-05-1917.
37)FEDELE - Nome ambigenere, ma solo al femminile ha una connotazione mariana legata alla Virgo Fidelisdella litania (festa liturgica il 21 novembre). La Virgo Fidelis è la Madonna Patrona dell’Arma dei carabinieri.
38)FINIMONDA – Nome femminile del Leccese, legato alla devozione a Santa Maria di Leuca, il cuiSantuario è intitolato a Maria de finibusTerrae, popolarmente alla “fine del mondo”, ossia all’estremità orientale dell’Italia.
39) FONTANA – Nome mariano che si riscontra a Francavilla Fontana (Brindisi) dove si venera la Madonna della Fontana, con festa al 14 settembre.
40) FONTE – La Madonna della Fonte è venerata in alcune città pugliesi, in particolare a Canosa e a Conversano, dove la 4ª domenica di maggio si celebra la festa di Maria SS. della Fonte, Patrona della diocesi di Conversano-Monopoli (provincia di Bari); a conferma di tale profonda devozione ad alcune donne viene dato il nome Fonte.
41) GRAZIA/MARIAGRAZIA –Nomi mariani molto diffusi, come pure il derivato Graziella, in segno d’onore alla Madonna delle Grazie. Onomastico il 2 luglio, giorno in cui si commemorava la visita di Maria ad Elisabetta.
42) GRAZIOSA –Anche se poco diffuso questo è il nome italiano che meglio traduce il “gratiaplena”(piena di grazia) del saluto, tradotto in lingua latina, rivolto dall’arcangelo Gabriele alla Vergine Maria.
43) GUADALUPE –Nome mariano molto diffuso, anche oltre i Paesi di lingua spagnola. Riproduce il toponimo di due santuari molto frequentati, uno in Estremadura (Spagna) e l’altro in Messico. L’onomastico si festeggia prevalentemente il 12 dicembre, festività di Nostra Signora di Guadalupe, Patrona del Messico.
44)IDOIA – Nome femminile basco, desunto da N.S. di Idoia, custodita in un eremo di Izaba (Navarra); Madonna invocata nei Paesi Baschi e Navarra da quanti soffrono il mal di testa; festa al lunedì di Pentecoste.
45) IMMACOLATA – “Senza macchie”, nome connesso al dogma dell’Immacolata Concezione (festa 8 dicembre).
46)INCORONATA – Usatonel Foggiano grazie al Santuario di Maria Incoronata (festa ultimo sabato d’aprile).
47) ITRIA – Derivato da Odigitria, icona mariana greco-bizantina della Madonna “che indica la via, il cammino”.
Il nome Itria, divenuto raro, si conserva soltanto in Sicilia e in certe zone della Barbagia (Sardegna), dove la Madonna d’Itria viene anche invocata come Madonna del Buon Cammino, versione locale del grecoOdigitria.
48) (MARIA) LETIZIA –Nome devozionale mariano legato all’invocazione della litania Causa nostraelaetitiae.
49) LETTERIA –Deriva dalla “Madonna della Lettera” assai venerata a Messina (di cui è Patrona, con festa il 3 giugno) e a Palmi, dove si svolge la nota processione della Varia, manifestazione riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Esiste anche la versione maschile Letterio.
VINCENZO DAVOLI
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FESTA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE - La comunità di Francavilla festeggia la Madonna delle Grazie, titolare della 2^ parrocchia del paese, la terza domenica di settembre. Quest’anno la festa francavillese della Madonna è capitata il 19 settembre. Alle ore 08.00 ci sarà la celebrazione della Santa Messa, celebrata da Padre Tarcisio Rondinelli. Alle ore 11.00 ci sarà la Messa Solenne, celebrata dal parroco Don Giovanni Tozzo. Si conclude alle ore 18.00 con la recita del Santo Rosario, l’Adorazione e Benedizione eucaristica. Maria Regina della pace e delle famiglie, prega per noi. |
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Francavilla Angitola, dopo l' apprezzatissima proiezione del film "Amelia" con il Sindaco Avv. Giuseppe Pizzonia, il sindaco di Monterosso Calabro Antonio Lampasi, la giornalista Maria Novella Imeneo, la " mia super" Manuela Capalbo e i miei figli Checco e Giovanni...Ringrazio di cuore l'amico e collega Pasquale Accorinti.
DI ENZO CARONE
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Premio Solidarietà Covid-19 della Filitalia International
Giornata all'insegna della solidarietà con la premiazione della Filitalia International chapter di Vibo Valentia, per chi continua l'opera di bene verso la popolazione colpita da Coronavirus. A ospitare l'evento, mercoledì è stata la cittadina di Vallelonga, uno dei pochi paesi della Calabria ad avere registrato pochi casi Covid-19 (5 in tutto), con il sindaco Egidio Servello che ha colto al volo l'opportunità che l'associazione Vibonese le ha offerto. A ricevere il premio sono stati i medici Antonio Talesa, Romeo Aracri, Vito Carnovale, Marianna Martino, Francesco Vetrò, Marisa Pirruccio, Domenico La Serra e Caterina Marchese, oltre agli infermieri professionali: Marta Anello, Sergio Martino, Immacolata Andreacchi e Giuseppina Galloro. Oltre al personale sanitario sono stati premiati anche le associazioni di volontariato, la Protezione Civile Macherato, il Servizio civile di Filogaso, le volontarie Carmelina Ielapi, Francesca Massa e Debora Boragina. Premio come "Costruttore del bene" a Tommaso Imineo da Filogaso, deceduto proprio a causa di conseguenze dovute al Coronavirus. L'iniziativa, che si è svolta in diretta streaming su kalabriatv.it, è stata arricchita dal dibattito sulla società del post pandemia, con le linee di prevenzione e prospettive di intervento pedagogico. Lavori aperti dai saluti da parte del sindaco Egidio Servello, dal Presidente del chapter di Vibo Valentia della Filitalia International Nicola Pirone e dal fondatore della Filitalia il professor Pasquale Nestico, noto cardiologo calabrese nel Nord America. Coordinati dal fondatore della rivista "La Barcunata" Bruno Congiustì, sono intervenuti la dottoressa Francesca Dastoli dell'Asl 2 di Roma, il dottor Antonio Talesa responsabile dell'emergenza Covid presso l'Asp di Vibo, il presidente dell'associazione dell'AINSPED Davide Piserà e l'antropologo Pino Cinquegrana. Dibattito molto incisivo con i partecipanti che hanno assistito fino alla fine. Toccanti le parole dei premiati che hanno raccontato la propria esperienza, dedicando il premio a chi ha sacrificato la vita pur di salvare quella degli altri. Tra i partecipanti il sindaco di Filogaso Massimo Trimmeliti, il Console del Touring Club Lamezia-Vibo Giovanni Bianco e don Vincenzo Barbieri per la Consulta delle associazioni della Valle dell'Angitola. Gli organizzatori oltre all'amministrazione comunale di Vallelonga hanno voluto ringraziare i ragazzi della cooperativa Futura, Bruno Galati, Raffaele Galloro, Loredana Decaria e Domenico Rizzo per la prezioso collaborazione.
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LA SOCIETA' DEL POST PANDEMIA
Sarà Vallelonga, centro nella Valle dell’Angitola ad ospitare mercoledì il premio “Solidarietà Covid-19” della Filitalia International chapter di Vibo Valentia. Il comune amministrato da Egidio Servello, con entusiasmo ha accolto l’invito del chapter Vibonese per ospitare l’evento al cui interno è previsto un dibattito con esperti del settore che si stanno occupando della crisi pandemica. Il titolo scelto dagli organizzatori è “La società della post pandemia: linee di prevenzione e prospettive di intervento pedagogico”, sul quale parleranno la dottoressa Francesca Dastoli, dirigente medico del dipartimento di prevenzione Asl Roma 2, il dottor Antonio Talesa in qualità di responsabile dell’emergenza Covid per l’Asp di Vibo Valentia, il presidente dell’associazione nazionale pedagogisti ed educatori Davide Piserà. Il dibattito che sarà coordinato da Bruno Congiustì, editore de La Barcunata, vedrà l’intervento della dottoressa Rocio Angulo Mendez, medico cubano che racconterà l’esperienza nell’isola caraibica e il supporto della brigata medica in Italia. Spazio anche alla ricerca, con l’antropologo Pino Cinquegrana che si occuperà delle malattie nella Valle dell’Angitola, il libro che a breve sarà presentato a Maierato. Iniziativa che sarà aperta dai saluti del primo cittadino di Vallelonga Egidio Servello, del presidente del chapter di Vibo Valentia della Filitalia International Nicola Pirone e dal professor Pasquale Nestico, cardiologo e fondatore della Filitalia. Durante l’iniziativa saranno consegnati gli attestati a chi si è impegnato per dare assistenza alle popolazioni colpite dal Coronavirus. L’evento sarà visibile in diretta streaming su youtube.com/kalabriatv/live. Partener della manifestazione socio culturale saranno la cooperativa Calabria Futura, il museo de La Barcunata, la Consulta delle associazioni della Valle dell’Angitola, Ainsped, Kalabriatv.it, la rivista La Barcunata e Villa Sara. L’inizio della manifestazione è previsto per le ore 18.30 presso la Fontana del Boschetto in piazza Monserrato.
Nicola Pirone |
FESTA ESTIVA DI SAN FOCA- 8 AGOSTO 2021
La festa estiva di San Foca Martire del 2021, che quest’anno culminava nel giorno 8 (seconda domenica d’agosto), sarà ricordata negli anni futuri come un evento anomalo della storia municipale di Francavilla, in quanto il pericolo del Coronavirus ha determinato la cancellazione dei vari festeggiamenti civili connessi alle celebrazioni religiose in onore del Santo Patrono. In verità anche i tradizionali riti religiosi sono stati ridimensionati, limitando di molto la partecipazione dei devoti alle funzioni della Novena e vietando persino la processione del Santo Patrono per le vie principali del paese; la processione in onore di San Foca è sempre stata, anche nei momenti di grave crisi, la manifestazione di religiosità popolare più amata sia dai residenti nel comune di Francavilla, sia dai francavillesi (e loro discendenti) emigrati in altre regioni o all’estero, sia dai fedeli non francavillesi che dai paesi limitrofi vengono a rendere omaggio al Patrono di Francavilla. Domenica 8 agosto, all’interno della chiesa di San Foca sono state celebrate due Sante Messe, a cui ha potuto assistere un numero limitato di fedeli. La Messa delle ore 8 è stata celebrata dal francescano francavillese Padre Tarcisio Rondinelli, che all’anagrafe è registrato col nome del santo Patrono, cioè “Foca”. Alla Messa delle ore 11, celebrata dal Parroco, arciprete don Giovanni Battista Tozzo, erano presenti in forma ufficiale con il gonfalone, il Sindaco avv. Giuseppe Pizzonia e la giunta comunale. In sostituzione della processione tradizionale, alle ore 18,30 in piazza Marconi è stata celebrata una Santa Messa solenne. Infatti, come se si trattasse di una breve, ma comunque simbolica processione, la statua del Santo Patrono è stata trasferita dall’interno della chiesa a Lui intitolata, all’esterno in una piazza importante del nostro paese, sistemandola opportunamente su un altare provvisorio allestito in fondo alla piazza Marconi e dignitosamente addobbato. Alla celebrazione, officiata dal Parroco don Giovanni, hanno partecipato, numerosissimi fedeli (residenti e villeggianti) tutti muniti di mascherina e ligi a rispettare la distanza di sicurezza
Articolo e foto di Vincenzo Davoli e Giuseppe Pungitore |
FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI SAN FOCA MARTIRE 08 AGOSTO 2021
Ai Fedeli tutti
Carissimi Fratelli e Sorelle
Anche quest’anno seguendo le indicazioni dateci recentemente dall’ Amministrazione Apostolico per la Diocesi di Mileto - Nicotera –Tropea essendo resa sede vacante, Mons. Francesco Oliva vescovo della Diocesi di Locri-Gerace , vi offro questo programma di massima in occasione della festa nostro Santo Patrono San Foca Martire, ancora una volta condizionati dal coronavirus ma che non fa essere meno festa la nostra devozione ed attaccamento al Santo e soprattutto a Gesu’ Cristo nostro Signore e Salvatore che non cessano ad accompagnarci e di proteggerci in questa fase delicata di transizione e di superamento di questo male, che ha prostrato il mondo intero gettandolo nel disagio, nel pericolo e nella necessità. Stiamo ancora sperimentando, nonostante la nostra voglia di vivere ed il nostro desiderio di libertà siamo forti, come ci riscopriamo ancora una volta deboli e fragili, soggetti ai pericoli ed alle incertezze della vita, e come solo la prudenza e la calma possano aiutarci a superare indenne questa fase di svolta e di ripresa a tutti i livelli, della nostra vita quotidiana. Ma in questi situazione di incertezza possiamo e dobbiamo riscoprire tutta la forza della nostra fede e la nostra totale fiducia in Dio e nei nostri Santi, affinchè la preghiera e la loro vicinanza possano sempre preservarci dai pericoli del corpo e dello spirito. Ricordiamo come San Foca in particolare, sia protettore anche dalle pestilenze e dalle epidemie. A chi ha fede in Dio tutto è possibile.
PROGRAMMA RELIGIOSO
-Giovedi 29 Luglio: ore 19° Santa Messa e “Discesa del Santo”.
-Venerdi 30 Luglio: ore 19° solenne inizio Santa Novena con celebrazione eucaristica.
-Tutte le sere; ore 19° Novena cantata e celebrazione Eucaristica; disponibilità per le confessioni.
-Lunedi 02 Agosto Giornata degli Emigranti: preghiera dell’Emigrante.
-Giovedi 05 Agosto: Giornata dell’Ammalato e dell’Anziano con particolare preghiera di protezione e liberazione del coronavirus.
-Sabato 07 Agosto Benedizione dei Bambini e affidamento a San Foca.
-Domenica 08 Agosto: ore 08° Santa Messa
ore 11° Santa Messa solenne e benedizione dei dolci tradizionali
ore 19° Santa Messa in Piazza Marconi
N.B. Restano in vigore tutti gli accorgimenti e le avvertenze anticovid usati finora, al fine di evitare assembramenti e contatti fisici tra i partecipanti. In particolare in chiesa l’uso della mascherina e la disinfezione delle mani.
IL PARROCO
DON GIOVANNI BATTISTA TOZZO |
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Apertura museo dell’emigrazione “La Barcunata”
Pochi giorni ancora e poi le porte del museo dell’emigrazione “La Barcunata” si apriranno al pubblico. L’idea nata dall’intuizione di Bruno Congiustì e dei collaboratori che ruotano intorno alla rivista sta per diventare realtà con la cerimonia che si svolgerà in piazza Marconi venerdì 16 luglio alle 18.30. Un evento eccezionale e, per questo ci saranno numerosi ospiti a incominciare dal presidente facente funzione della Regione Calabria Nino Spirlì, l’assessore al Turismo Fausto Orsomarso, i consiglieri regionali Filippo Pietropaolo, Vito Pitaro e Luigi Tassone. Presente anche la flotta dei Parlamentari calabresi con il Senatore Giuseppe Mangialavori, la Deputata Wanda Ferro e Nicola Carè eletto all’estero nella circoscrizione Asia-Oceania e originario di Guardavalle. Previsto anche l’intervento del Presidente della commissione cultura al Senato Riccardo Nencini e dell’ex deputato Bruno Censore. La Provincia di Vibo Valentia sarà rappresentata dal presidente Salvatore Solano insieme al primo cittadino di Vibo Valentia Maria Limardo, la presidente del Parco delle Serre Melania Carvelli e i sindaci della Valle dell’Angitola. In streaming ci saranno i preziosi contributi del ministro dell’emigrazione Canadese Marco Mendicino, dei deputati Judy Sgrò e Francesco Sorbara, oltre che i parlamentari italiani eletti all’estero Fucsia Fitzgerald Nissoli e Francesca La Marca. Dall’Australia interverrà il Consultore della Regione Calabria Vince Daniele, dagli Stati Uniti Pasquale Nestico fondatore della Filitalia International & foundation e da Toronto il Presidente del Club Sannicolese Joe Garisto. Non solo il mondo della politica e dell’associazionismo prenderanno parte all’apertura del museo di San Nicola da Crissa, ma anche il mondo della ricerca con l’introduzione che sarà affidata all’antropologo Pino Cinquegrana. Altri interventi sono previsti dal docente dell’Università La Cattolica - Sacro cuore di RomaGiuseppe Sommario, dell’esperto Franco Vallone oltre che dal fondatore Bruno Congiustì. Il tutto moderato dal giornalista e direttore della rivista La Barcunata e kalabriatv.it, Nicola Pirone. L’evento si realizzerà grazie alla collaborazione della Filitalia International chapter di Vibo Valentia, della Consulta delle associazioni Valle dell’Angitola, dell’associazione Paesi Balconi d’Italia con il presidente Nicola Cosentino e di kalabriatv.it, che manderà in diretta streaming l’evento. Il museo dell’emigrazione “La Barcunata” è unico nel suo genere. All’interno trovano spazio numerosi documenti che gli emigrati sannicolesi e non solo hanno voluto regalare, bauli, casse e valige utilizzate per i viaggi, fotografie e altri oggetti. Il museo sarà dotato di pannelli didattici che spiegheranno la diaspora che ha caratterizzato i paesi della Valle dell’Angitola e della Calabria in generale.Per rendere più accogliente la visita è stato allestito un internet point, mentre per il futuro prossimo ci sono già in cantiere diverse iniziative che saranno illustrate proprio durante la presentazione.
Le dichiarazioni del fondatore del museo Bruno Congiustì “Ormai ci siamo e poi il sogno diventerà realtà. Lo dobbiamo a tutti gli emigrati che hanno lasciato i nostri piccoli paesi concedendoci anche un po' di benessere. Loro sono stati l’esempio del sacrificio e per questo bisogna elogiarli. L’emigrazione ha colpito ogni famiglia della Calabria. In poche si sono salvate ma le storie sono numerose e noi cercheremo di raccontarne il più possibile. Il museo sarà in continua evoluzione, con la documentazione che cambierà di continuo, il che permetterà ai visitatori di potere sempre ritornare>”.
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Statuina della Madonna in Piazza G. Marconi
"Non c'è più bisogno di Dio - mi ripeteva spesso mia madre negli ultimi giorni della sua vita terrena, ed aggiungeva -"le chiese sono vuote , l'umanità vive di altro". Mai come in questi giorni diviene attuale la domanda di Cristo ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo ritornerà sulla terra, troverà la fede ?" Vi è un progressivo allontanamento dell'umanità dal Trascendente e il materiale tende a prendere il sopravvento sullo spirituale (che follia!). Contano il benessere , i soldi e anche le belle manifestazioni religiose della tradizione diventano spettacoli folcloristici. Non eravamo in tanti ieri sera in piazza G. Marconi, per l'occasione adornata da odorosi e colorati fiori per la benedizione del simulacro della Vergine del Monserrato collocato su un muro domestico privato, che da oggi diviene un simbolo , un altare dove fermarsi per meditare e recitare un'Ave. Poche persone dunque , ma una comunita' viva, quasi osservata dal Cielo azzurro dagli occhi benevoli di Maria . Le belle tradizioni di un passato dimenticato per una sera sono tornate a vivere nei canti devozionali di Teresa e nelle musiche di Phocas , Sergio e Enzo e nella partecipazione di pie donne francavillesi che ancora vivono la fede come una volta. Non conosco le dinamiche con cui una comunità instaura un legame affettivo con una icona o un simulacro, ne so i tempi quando i francavillesi hanno eletto Vallelonga come sede di pellegrinaggio compiuto con un duro cammino che lega le intenzioni al sacrificio. So invece che la Fede illumina l'uomo nella sua ricerca di dare un senso a questa vita e la Luce riempie il cuore di una gioia che nessun altra cosa riesce a dare. Erano numerosi in passato nel territorio di Francavilla gli altari ed i simulacri elevati ai santi quasi a voler cercare una loro protezione in qualunque attività essi compissero , oggi ci si vergogna perfino di fare il segno della croce passando davanti a una chiesa. Dio è spirito , ma la Madonna ha condiviso la nostra natura e a Lei le nostre madri affidavano noi figli , i loro sacrifici , i loro dolori , i propositi e i destini. Averla oggi in un angolo del paese è un richiamo a ricordarci di Lei nei momenti bui o allegri di questa vita che fugge via. Prima di chiudere queste brevi considerazioni è bene ricordare che la statuina della Madonna apparteneva al compianto prof. Armando Torchia , devotissimo alla Vergine di Vallelonga e che alla riuscita di questa festa si sono impegnati G. Torchia, A.Ionadi, M.Condello e F. Fiumara .Per ultimo, ma certamente non per importanza va ringraziato don Giovanni Tozzo pastore di questa comunità.
Lorenzo Malta
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Vallelonga una festa solo religiosa
di NICOLA PIRONE
VALLELONGA – La festa in onore di Maria di Monserrato che si svolgerà nel centro della Valle dell’Angitola dal 2 all’11 di luglio entra nel vivo. Come lo scorso anno per motivi di sanitari non ci sarà il programma civile, ma solamente tutto religioso. I riti religiosi, iniziati con la Novena di preparazione venerdì scorso, si protrarranno fino a domenica 11. Come espressamente inserito in calendario dal nuovo rettore padre Carmelo Silvaggio, la domenica di conclusione vedrà la celebrazione di 8 Messe, per permettere ai pellegrini di recarsi in tutta sicurezza ad assistere. Il sabato precedente è stata inserita la giornata del ringraziamento per le primizie della terra, promossa in collaborazione con l’ufficio diocesano pastorale del lavoro e il comune di Vallelonga, seguita dalla celebrazione eucaristica e a fine giornata la veglia Mariana dei pellegrini. I Vallelonghesi, si ritroveranno di notte a cantare le lodi alla Madonna il venerdì. Giornata eucaristica dedicata alla Divina Misericordia, è invece in programma il prossimo giovedì, chiusa con i Vespri al Santissimo Sacramento.Mercoledì 7 luglio, ci sarà la giornata dedicata a San Giuseppe con la benedizione delle famiglie e rinnovo della promessa di matrimonio. Il programma religioso non ha tralasciato i defunti, con una preghiera in suffragio e benedizione delle tombe che si svolgerà lunedì alle ore 17.00. per tutta la durata della festa, la statua della Madonna di Monserrato sarà esposta ai visitatori. Lo scorso anno, causa le restrizioni, l’assenza della fiera e delle celebrazioni civili, si è notevolmente ridotto il numero dei pellegrini che ogni anno arrivavano in paese. I più devoti hanno preferito raggiungere la basilica minore in macchina, senza il consueto pellegrinaggio a piedi. La festa della Madonna di Monserrato, è una delle poche in zona dove ancora è rimasto il pellegrinaggio, l’altra è quella di Torre di Ruggero, con il voto che deriva dalla presenza dell’occupazione delle terre. Infatti, Monserrato è considerata la festa degli Spagnoli, tanto che Ferdinando di Borbone, programmava il suo trasferimento nella residenza estiva di Ferdinandea proprio in questo periodo dell’anno. Qui rimaneva per i festeggiamenti prima di raggiungere le montagne delle Serre. Non è un caso che la festa sia rimasta nel mese di luglio, nonostante gli emigrati vallelonghesi rientrano al paese in agosto.
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I Diari della Barcunata
Tanti argomenti nella rivista di Bruno Congiustì e Nicola Pirone. Puntuale come sempre, ogni fine mese, arriva il numero di giugno della rivista I Diari della Barcunata, diretto da Nicola Pirone e fondato da Bruno Congiustì. Tanti gli articoli interessanti pubblicati in questa edizione, distribuita gratuitamente in pdf anche ai calabresi nel mondo. Le firme di questo numero: Nicola Pirone. Michele Roccisano, Michele La Rocca, Martina Greco, Milena Garcia, Silvana Franco, Vito Rondinelli, Antonio Paolillo, Lavinia Prestagiacomo, Pino Pungitore, Salvatore Cosentino, Vincenzo Davoli, Pino Pungitore, Rosario Provieri, Maria Romina Strozza, Francesco Ficchì, Riccardo Colao, Peppino Fiorillo, Letizia Faroni, Eva Gluszak-Castagna, Bruno Congiustì.
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PUBBLICATO IL NUOVO SAGGIO SU “LA VOLANTE ROSSA” – MARZO 2021
Fresco di stampa, avvenuta nello scorso mese di marzo, per i tipi delle “4 Punte Edizioni” di Roma, viene ora pubblicato il saggio di storia contemporanea “La Volante Rossa” scritto da Carlo Guerriero e Fausto Rondinelli. Si tratta della nuova versione, riveduta e aggiornata “in diversi suoi contenuti e nelle conclusioni”, del saggio storico scritto dai medesimi autori, edito nell’anno 1996 dall’editrice “Datanews” di Roma. Per non incorrere in deplorevoli equivoci diciamo subito che questo nostro breve scritto è soltanto un annuncio, indirizzato ai followers del sito www.francavillaangitola.com, per avvisarli dell’uscita del suddetto libro intitolato “La Volante Rossa”, scritto dal francavillese Fausto Rondinelli e dal prof. Carlo Guerriero di Roma. Noi redattori del sito speriamo che gli autori, Guerriero e Rondinelli, ci forniscano presto una breve recensione del loro saggio, o qualcosa di simile, scritta da un esperto di storia contemporanea, da pubblicare sul nostro sito per fare apprezzare meglio la loro opera. Qui di seguito comunque aggiungiamo alcune delucidazioni.
Come viene segnalato nella 4ª di copertina, sia della prima sia della nuova edizione, l’intento degli autori è quello di “raccontare, senza pregiudizi e indulgenze, un frammento della nostra storia recente”, ossia la particolare vicenda della “Volante Rossa”, un gruppo di partigiani milanesi che nell’immediato dopoguerra “non depose le armi”.
Ai due autori va subito riconosciuto il merito di aver affrontato con rigore ed intelligenza critica una materia piuttosto scottante. Per la sinistra italiana le imprese della “Volante Rossa” erano state vicende particolarmente “scomode”, tant’è che spesso sono state escluse, o elegantemente eluse, dalla storiografia ufficiale sulla Resistenza e sul PCI. Nella nuova edizione del loro saggio storico i due coautori non si limitano a rivelare e ad illustrare alcuni aspetti particolari della vicenda della “Volante Rossa”, che 25 anni or sono, al tempo della prima edizione, erano poco noti o totalmente sconosciuti, ma, in una prospettiva di più ampio respiro, tendono a rilanciare la discussione e la riflessione sugli obiettivi etici e politici, che si erano posti gli esponenti principali della Resistenza italiana, ed in modo particolare quelli della sinistra.
Ringraziamo doverosamente i due autori per averci permesso di annunciare in anteprima la pubblicazione del loro pregevole saggio storico.
Vincenzo Davoli – Giuseppe Pungitore |
DON CARLO DE CARDONA: I CATTOLICI COSENTINI RICORDANO
IL SUO IMPEGNO SOCIALE NEL 150.mo ANNIVERSARIO DELLA NASCITA
Don Carlo De Cardona, sacerdote nato a Morano Calabro il 4 maggio 1871, è stato l'apostolo della redenzione sociale dei contadini e dei lavoratori calabresi. Il prete moranese, subito dopo la sua ordinazione sacerdotale (7 luglio 1895) fu nominato primo segretario del vescovo mons. Camillo Sorgente, che gli affidò l'incarico di organizzare il movimento cattolico cosentino, sulla scia della Rerum novarum, dando vita alla Lega del lavoro e alle Casse rurali. Per tenere unito il suo "popolo" De Cardona diede vita a giornali e a forme organizzative sociali molto interessanti. Non c'è saggio storico sulla Calabria dei primi anni del Novecento, che non cita l'azione sociale decardoniana, come la più importante e significativa presenza dei cattolici nell'agone sia sociale che politico.De Cardona non è stato mai dimenticato a Cosenza, già nel 1966 il Comune gli dedicò una strada, 50 anni fa, in occasione del centenario della nascita fu inaugurato un medaglione bronzeo in piazza Parrasio, che fa pendant con quello posizionato dieci anni prima al papa Leone XIII, il promulgatore della Rerum novarum. A cura di un gruppo di sacerdoti e laici cattolici fu costituita la Sezione studi "Carlo De Cardona" che fino a qualche anno fa ha tenuto desta la figura del sacerdote. Per i 150 anni della nascita di De Cardona, l'Ufficio pastorale dell'Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano per i problemi sociali e il lavoro, in collaborazione con il Centro studi calabresi "Cattolici Socialità Politica", invita i cattolici cosentini a alla celebrazione eucaristica, nella Cattedrale di Cosenza, martedì 4 maggio 2021 alle ore 18, presieduta dal vicario generale mons. Gianni Citrigno; subito dopo ci sarà un omaggio floreale al medaglione che ricorda De Cardona, tra i tanti che hanno già dato la loro adesione all'iniziativa, il riconfermato presidente della BCC Mediocrati, Nicola Paldino, il segretario della Cisl cosentina Giuseppe Lavia, il presidente della Coldiretti Franco Aceto, Caterina De Rose delle Acli, Leonardo De Marco del Movimento Cristiano Lavoratori. Causa Covid-19 le altre iniziative programmate, sono state rinviate alcune a metà giugno, altre a luglio, di particolare significato la mostra bibliografica "Don Carlo De Cardona e i personaggi della Rerum novarum a Cosenza" curata dalla Biblioteca nazionale di Cosenza, che sarà consultabile anche attraverso il web. Da segnalare due passeggiate: la prima a Cosenza nei luoghi che hanno visto la presenza decardoniana, il quartiere operaio dello Spirito Santo e Cosenza Casali dove nel 1907 venne costruita la palazzina denominata "Casa operaia", primo esempio in Calabria di edilizia popolare, inoltre la visita all'istituto delle Suore minime della beata Elena Aiello che ospitò don Carlo dal 1940 al 1948; la seconda passeggiata, sulle rive del fiume Arente tra i Comuni di Rose e San Pietro in Guarano, dove la Lega del lavoro di De Cardona fece costruire una centralina elettrica che diede l'illuminazione pubblica al paese di San Pietro in Guarano, sette anni prima della città di Cosenza. Il Centro studi calabresi "Cattolici Socialità Politica" che ha già pubblicato tre quaderni "Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il Movimento Cattolico in Calabria", curate da Demetrio Guzzardi, nei prossimi giorni verranno presentati anche ai seminaristi del Pontificio Seminario teologico regionale "San Pio X" di Catanzaro.
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DOMENICA DI PASQUA - Gesù, il Cristo è veramente risorto! Sarà il nostro saluto oggi e sempre, nei momenti felici come in quelli della paura e del buio, delle chiusure e delle separazioni forzate, del rifugio in inutili e illusorie sicurezze che nulla possono garantirci e assicurarci: Solo il Risorto è la nostra sicurezza. Solo lui è tornato dalla morte per garantirci la Vita, quella che non finirà mai stritolata nella morsa della paura. Gesù ci libera e ci restituisce alla Vita, quella vera.
VEGLIA PASQUALE -Il messaggio di Speranza e di Pace di Cristo Risorto riscaldi ed illumini l’anima e il cuore di tutti noi, nella certezza che Egli è la Risurrezione e la Vita”.
VENERDI’ SANTO - All’inizio della nostra meditazione, è necessario sollevare il nostro sguardo alla croce, da dove pende lacerato e dissanguato il figlio di Dio.
Un Giovedì Santo all'insegna della riflessione e della preghiera.
DOMENICA DELLE PALME 28/3/2021
La parte più commovente della Messa è stata, come ogni anno, il racconto evangelico della Passione di Cristo , recitato a più voci. E’ seguita l’omelia del parroco.
Esposizione del Santissimo Sacramento.
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LA PASQUA
Che cosa significa Pasqua?
La parola “pasqua” deriva dal verbo ebraico 'pèsah', che significa passare. Passaggio quindi. In effetti, la vita stessa è il sommo dei passaggi, dalla vita alla morte, e nello stesso tempo un contenitore di vari passaggi, dal male al bene e viceversa, dalla gioia al dolore e viceversa, dall'amore all'odio e viceversa, dalla notte al giorno e viceversa. La religione cristiana, che vede in Cristo il figlio di Dio come messia fatto uomo, ha ritenuto celebrare, attraverso i suoi grandi padri e con il consenso dei fedeli, come festa, a mio parere la più importante,la Pasqua col suo significato di passaggio.
Passaggio dalla vita alla morte del Cristo, passaggio dalla morte alla resurrezione e passaggio al Mistero. Passaggio su questa terra di un uomo, il Cristo figlio di Dio, per predicare per il bene dell'umanità, passaggio dai buoni insegnamenti, seguiti da pochi seguaci, ignorati dai molti, passaggio dalla libertà di divulgare il proprio pensiero al diniego dei governanti, voluti o tollerati dal popolo sovrano, dai miracoli e discorsi pieni di grandi insegnamenti rivolti al bene comune, spinto dall'amore e non dall'odio. La Pasqua è festa di tutti, non soltanto dalla chiesa e suoi fedeli con le millenarie tradizioni, è festa per augurare a ognuno di passare dal male al bene, dall'odio all'amore, dall'oblio delle persone care, delle buone azioni, al loro ricordo. E' una Festa di auguri per passare dal disprezzo al rispetto, dalle varie iniquità e ingiustizie sociali a un vivere civile e progredito per ognuno. E' la festa di auguri che siano abbattuti tutti i muri che impediscono i passaggi di chi chiede aiuto in mare, in terre, in cielo, in ogni luogo, emigrante o profugo che sia, vero passaggio dall'indifferenza all'umana accoglienza. Pasqua di quest'anno, è la Festa del grande augurio che finisca il male, causato dalla pandemia, per passare alla serenità di ogni famiglia.
Se Gesù è il Cristo crocifisso dall'uomo, nonostante i millenni passati, se dovesse ritornare tra di noi, come un passaggio di ritorno per essere in mezzo a noi, sarebbe accolto con le palme e i rami d'olivo della pace con rispetto e venerazione? Ci sarebbe sempre il passaggio dalla venerazione, rispetto e amore al dileggio e alla nuova crocefissione. Niente è cambiato nella sostanza, restano solo gli auguri (misteriosi).
Passaggio è ancher la Pasqua del mio paese natiìo, un paese che ha avuto un passaggio dalla vitalità, nella gioia e nel dolore della sua numerosa gente, al quasi completo spopolamento, una ferita profonda in ogni cuore di suo cittadino, non resta altro che fare gli auguri per una vera Pasqua, per un passaggio dallo spopolamento al ripopolamento. Esperienza di vita, faccio a me stesso, alle amiche e agli amici condivisori di pensiero, una Pasqua, un passaggio dal presente al passato, alla Francavilla della mia fanciullezza come si vede in foto, da me scattata dai Riformati.
Vincenzo A. Ruperto
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2ª EDIZIONE DEL “DANTEDÌ” - 25 MARZO 2021
LUOGHI E PERSONAGGI DI CALABRIA NELLA “DIVINA COMMEDIA”
Nelle tre cantiche del poema dantesco furono illustrati alcuni luoghi e personaggi della Calabria o Magna Grecia. Qui di seguito li segnaliamo seguendo l’itinerario percorso da Dante: Inferno-Purgatorio-Paradiso.
I) Nei 34 canti dell’Inferno a prima vista non appaiono indicati luoghi o persone della Calabria. Tuttavia nel 7° canto, quando il Poeta descrive la punizione a cui sono assoggettati gli avari e i prodighi, una bella e concisa similitudine allude chiaramente ad un luogo mitico sulla sponda calabrese dello stretto di Messina, cioè Scilla.
Dante e Virgilio stanno attraversando il 4° cerchio dell’inferno; qui i condannati formano due schiere, distinte in base al loro peccato (avari in una fila, prodighi nell’altra). Percorrendo due semicerchi opposti, i dannati spingono col petto pesanti macigni ed avanzano fino a scontrarsi violentemente; dopo essersi vicendevolmente rinfacciati i loro peccati, si voltano e percorrono il cammino in senso inverso; si scontrano di nuovo e questo loro supplizio si ripete per l’eternità. Nella similitudine dantesca gli scontri che oppongono le schiere degli avari a quelle dei prodighi assomigliano ai ripetuti vorticosi scontri delle correnti nello stretto di Messina, dove l’onda marina proveniente da Cariddi (sponda siciliana) s’infrange continuamente con l’onda che parte dalla costa calabra. Si tratta dei versi 22 e 23 del 7° canto:
“Come fa l’onda là sovra Cariddi, /che si frange con quella in cui s’intoppa..”
Ovviamente quella in cui s’intoppa è l’onda proveniente da Scilla, da tempo immemorabile conosciuta come luogo geografico e come mostro leggendario menzionato da tanti poeti dell’antichità come Omero, Virgilio, Ovidio, Lucano.
II) La Calabria nella cantica del Purgatorio.
Nel verso 124° del canto III sta scritto il nome Cosenza; pertanto il nome di questa antica città bruzia risulta essere il primo toponimo calabrese ad essere indicato esplicitamente nella “Divina Commedia”. Per meglio comprendere le ragioni che spinsero Dante ad inserire il nome di questa città nel suo poema, ci sembra opportuno riportare dapprima le due terzine di quel canto (dal verso 124 al verso 129), e quindi presentarne la relativa parafrasi in prosa moderna: “Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia / di me fu messo per Clemente allora, / avesse in Dio ben letta questa faccia, / l’ossa del corpo mio sarieno ancora / in co del ponte presso a Benevento, / sotto la guardia de la grave mora”.
“Se l’arcivescovo (pastor) di Cosenza, che fu allora indotto (messo) al mio inseguimento (caccia) da (per) papa Clemente IV, avesse letto in Dio l’aspetto (faccia) della misericordia, le ossa del mio corpo sarebbero ancora a capo (in co) del ponte di Benevento collocate al sicuro sotto un mucchio di pesanti pietre”.
A pronunciare le suddette parole era stato Manfredi, re di Napoli e di Sicilia, della dinastia sveva, in quanto figlio naturale del grande imperatore Federico II. Quasi tutti i dantisti ritengono che ’l pastor di Cosenza fosse Bartolomeo Pignatelli, un alto prelato che fino al 1254 era stato arcivescovo di Amalfi, poi dal 1254 al 1266 fu arcivescovo di Cosenza, e in ultimo dal 1266 alla morte (1272) fu arcivescovo di Messina. L’arcivescovo Pignatelli, appartenente ad una nobile famiglia napoletana, acerrima nemica della dinastia sveva, fu istigato da papa Clemente IV a perseguitare re Manfredi sia da vivo, sia da morto. Pignatelli, non avendolo catturato quando era vivo, riuscì a reperire e a profanare le ossa del corpo del re svevo, che era stato nascosto e sepolto sotto un mucchio di pietre vicino a un ponte di Benevento, presso il luogo dove Manfredi era stato sconfitto ed ucciso dalle truppe di Carlo I d’Angiò, incoronato re di Napoli proprio dal suddetto papa Clemente. Da quanto sopra esposto si traggono queste conclusioni:-che “Cosenza” nel III canto del Purgatorio fu menzionata non come“topos”, luogo geografico calabrese, ma come “titolo” ecclesiastico, come uno dei vari “incarichi” vescovili conferiti al prelato Bartolomeo Pignatelli, amico del papa regnante e fiero nemico della dinastia sveva; -che il suddetto arcivescovo Pignatelli non può essere annoverato tra i personaggi “calabresi” della “Divina Commedia”, né per nascita (in quanto nato a Brindisi) né per stirpe, poiché la sua famiglia apparteneva alla nobiltà napoletana.
III) Calabria e calabresi nella cantica del Paradiso.
Timeo - Nel 4° canto del Paradiso si leggono queste due terzine (dal 49° al 54° verso):
Quel che Timeo del’anime argomenta / non è simile a ciò che qui si vede, /
però che, come dice, par che senta./ Dice che l’alma a la sua stella riede, /
credendo quella quindi esser decisa / quando natura per forma la diede.
Le due terzine sopra proposte fanno parte di una lunga, complessa risposta fornita da Beatrice a Dante, che in quel frangente aveva la mente tormentata da certi dubbi teologici e filosofici. Uno dei dubbi, che più assillavano il poeta, riguardavala concezione sulle anime elaborata da Platone nel dialogo intitolato “Timeo”. Al tempo di Dante l’unica opera di Platone conosciuta era appunto il “Timeo”, nota grazie alla traduzione in latino composta da Calcidio. Le parole di Beatrice si soffermano su un punto delicato della dottrina platonica ossia sulla credenza che l’anima, dopo la morte del corpo, fa ritorno alla sua stella, da cui era stata staccata quando l’anima stessa era stata data al corpo per costituirne la forma. Ma prescindendo da tali sottili disquisizioni filosofiche, ci preme sottolineare il fatto che il nome “Timeo” (citato nel verso 49° del canto 4° del Paradiso perché era il titolo dell’omonimo dialogo di Platone) è propriamente il nome di un antico filosofo della città di Locri, abitantein una terra che ancora non veniva denominata Calabria, bensì Megale Hellas in greco, e Magna Graecia in lingua latina. Nell’ultimo periodo della sua esistenza, quando Platone scrisse un dialogo “riguardo alla natura” (in greco antico “perì phuseos”) ricorse allo stratagemma di fare esporre la sua concezione dell’universo (cosmologia e cosmogonia, ossia struttura e origine del cosmo) ad un grande astronomo, matematico e filosofo del V secolo avanti Cristo.A questo dotto magnogreco, diretto discendente di quei coloni greci che a partire dal VII secolo a. C. si erano insediati sulla costa ionica dell’attuale Calabria e vi avevano fondato la polis Locri Epizefiri, ossia all’illustre “Timeo di Locri” fu intitolato quest’importante dialogo di Platone. Quale grande onoranza per la nostra terra, Magna Graecia o Calabria che dir si voglia!
Catona e il “corno d’Ausonia” - Il protagonista principale dell’ottavo canto del Paradiso è un giovane re; si tratta di Carlo Martello d’Angiò (1271-1295), figlio di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria, nonché nipote di Carlo I d’Angiò, poc’anzi ricordato insieme a papa Clemente IV. Qui di seguito riportiamo le tre terzine che vanno dal verso 58 al verso 66 dell’VIII canto, sottolineando in particolare i versi che riguardano Catona e il territorio del Regno di Napoli al tempo dei primi re della Casa d’Angiò (1265-1282):
58) Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi ch’è misto con Sorga
per suo segnore a tempo m’aspettava
61) e quel corno d’Ausonia che s’imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
64) Fulgeami già in fronte la corona
di quella terra che ’l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona.
Le parole che Carlo Martello rivolge a Dante descrivono, con alcune suggestive perifrasi e senza mai pronunciare la loro denominazione geografica, i vari territori di cui lo stesso re angioino era divenuto sovrano, prima di morire giovanissimo all’età di soli 24 anni. Per prima presenta la Provenza, descritta come terra che si estende sulla riva sinistra del Rodano, dopo che in esso versa le acque l’affluente Sorga; la seconda perifrasi concerneil regno di Napoli, esclusa la Sicilia; in ultimo ricorda il regno d’Ungheria (“quella terra che ’l Danubio riga”) la cui corona gli era stata data nel 1292, quando Carlo Martello aveva appena 21 anni. Soffermandoci sulla seconda terzina possiamo dire che Ausonia è il toponimo dantesco che qui sta ad indicareil Mezzogiorno d’Italia, escludendo la Sicilia. Dal nucleo centrale del territorio di Ausonia si protende, su ciascuno dei tre mari (Tirreno, Ionio, Adriatico) che bagnano l’Italia meridionale, un corno d’Ausonia; sicché quel corno d’Ausonia che punta verso il mar Ionio, altro non è se non la penisola di Calabria.
Nell’icastica rappresentazione geografica ideata da Dante, l’Ausonia è raffigurata come un triangolo avente i vertici a Bari (a nordest sul mare Adriatico), a Gaeta (a nordovest sul Tirreno) e a Catona(a sud sullo stretto di Messina). La voce verbale s’imborga,usata da Dante nel verso 61), deriva dal vocabolo tedesco Burg che in italiano significa “roccaforte”, “castello fortificato”.In verità nel Medio Evo tre capisaldi difensivi, tre punte fortificate del Regno di Napoli erano proprio Bari, Gaeta e Catona. Un lato di quel triangolo geografico era costituito dalla linea che collega il fiume Tronto (che sgorga nell’Adriatico) con il fiume, anticamente denominato Verde, ed oggi noto come Liri o Garigliano (che sgorga nel Tirreno); Catona,in questa raffigurazione geometrica, risulta essere il vertice opposto al suddetto lato che unisce i fiumi Tronto e Verde.
Oggi ci si potrebbe meravigliare del fatto che Dante abbia menzionato una località piccola come Catona, anziché la più grande, e molto più antica, città di Reggio, colonia fondata dai greci-calcidesi, fiorente fin dal periodo magnogreco, ed unica località calabrese menzionata nella Bibbia, perché vi sostò brevemente l’apostolo Paolo di Tarso (Atti degli Apostoli, 28 – 13). Certamente, al tempo di Dante, Reggio era una città popolosa, un importante centro amministrativo, civile e religioso, con varie attività commerciali e artigianali, ma essendo ubicata di fronte a Messina ad una distanza quasi tripla rispetto alla minima che intercorre tra le due rive dello Stretto, non era una comoda base portuale per i traffici di merci trasportate da barconi che ogni giorno facevano la spola tra la sponda calabrese e quella siciliana; neppure era munita di rilevanti fortificazioni difensive. Viceversa la piccola Catona, al tempo di Dante, era abbastanza nota, sia come baluardo per la difesa del Regno di Napoli quasi alla punta dello Stivale, sia come punto di imbarco per la Sicilia. L’imperatore Federico II di Svevia aveva fatto edificare sulle vicine alture di Concessa, sovrastanti l’abitato di Catona,un imponente castello, di cui tuttora rimangono le rovine, a protezione della marina di Catona e delle connesse attività di pesca e di traffici marittimi con la Sicilia; molto probabilmente sulla spiaggia di Catona sorgeva anche qualche torre di guardia e di avvistamento. D’altronde Dante Alighieri, sfogliando le pagine della Cronica di Matteo Villani,poteva avervi letto che, qualche tempo dopo larivolta dei siciliani contro gli Angioini, i cosiddetti Vespri Siciliani (1282), Catona e le marine limitrofe erano stati i luoghi di raccolta della armata radunata da re Carlo I d’Angiò con l’intento di riconquistarela Sicilia e riunirla al Regno di Napoli.
Le cronache più realistiche affermano che a Catona e dintorni si radunarono almeno 5.000 soldati angioini ed altri loro alleati, tra cui circa 500 fiorentini di parte guelfa; e proprio per la cospicua presenza di questi armati fiorentini, al loroconcittadino Dante non sarà sfuggito il nome di Catona, come luogo d’imbarco delle truppe che a più riprese salparono da lì per riconquistare la Sicilia. Ma tutti i tentativi di recuperare la Sicilia alla dinastia angioina fallirono, sicché l’isola rimase sotto il dominio dei re d’Aragona.
Nel 1955 in un giardino pubblico di Catona,su iniziativa del Municipio e dell’Azienda di Soggiorno di Reggio Calabria, venne installata una colonna marmorea su cui sono infisse tre placche in bronzo; nella superiore si vede l’effigie classica di Dante, la cui testa è ornata con corona d’alloro; nella parte mediana ci sono due pagine di un libro aperto (chiara allusione alla “Divina Commedia”) dove si leggono i versi 61 e 62 del canto 8° del Paradiso: “e quel corno d’Ausonia che s’imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona”; in basso, la targa dedicatoria con la scritta: CATONA RICORDATA DA DANTE / RICORDA IL POETA.
Le fotografie del monumento, che Catona e Reggio hanno dedicato a Dante, gentilmente ci sono state fornite da un benemerito cittadino di Catona e nostro caro amico, il Comm. Ammiraglio Francesco Ciprioti.
Gioacchino da Fiore
Nel verso 140° del canto XII del Paradiso si trova l’unico vocabolo, in tutta la “Divina Commedia”, derivato chiaramente dal toponimo Calabria; è l’aggettivo “calavrese”, scritto con la consonante “v” poiché Dante s’attiene alla versione latina usata nel Medio Evo. Nei secoli successivi, a causa del betacismo, si affermarono invece le versioni con la consonante “b”, Calabria e calabrese.
La maggior parte del canto 12° è dedicata alla vita e alla figura di San Domenico; poi negli ultimi 20 versi San Bonaventura si compiace di presentare a Dantegli spiriti sapienti che insieme a lui stesso compongono la seconda corona di beati del Cielo IV del Paradiso. Gioacchino da Fiore, pur essendo ultimo, ma solo in senso cronologico, di quella corona di spiriti beati, vi occupa comunque un posto d’onore giacché si trova al fianco di San Bonaventura, che lo presenta a Dantecon questi efficaci e memorabili versi:
“…. e lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato”.
Nel moderno linguaggio italiano si potrebbe dire: …… e splende al mio lato/l’abate calabrese Gioacchino / di visione profetica dotato. Per meglio comprendere il ruolo importante di Gioacchino da Fiore nel panorama della cultura religiosa medievale è opportuno aggiungere che l’Alighieri conosceva Gioacchino non solo di fama o per sentito dire, ma per aver letto i suoi scritti profetici. Ne sono la prova altre terzine del Paradiso, in cui Dante apertamente riconobbe la veridicità delle profezie enunciate dall’abate calabrese. Così dal 31° al 36° verso dell’11° canto del Paradiso possiamo leggere:
“però che andasse ver’ lo suo diletto / la sposa di colui che ad alte grida / disposò lei col sangue benedetto, /
in sé sicura e anche a lui più fida / due principi ordinò in suo favore / che quinci e quindi le fosser per guida”.
Parafrasando in italiano moderno: “affinché la Chiesa – sposa di Cristo – potesse procedere più sicura e più fedele al suo Sposo diletto, (la Provvidenza) mandò due capi (san Francesco e san Domenico) che la guidassero uno di qua, l’altro di là”. I suddetti versi di Dante, da noi sottolineati, sono addirittura la traduzione letterale in lingua “volgare” delle parole latine della profezia di Gioacchino, là dove scrisse: “Erunt duo viri, unushinc, alius inde”; ovvero “ci saranno due uomini-guida (viri), uno di qua, l’altro di là.
Qui aggiungiamo concise note biografiche sul grande calabrese: Gioacchino era nato a Celico (CS) nel 1130 circa; fu prima monaco cistercense, poi nel 1176 abate nel monastero di Corazzo nella Presila catanzarese. Si ritirò quindi sui monti della Sila, ove fondò il monastero di San Giovanni in Fiore nel 1189; l’Ordine florense da lui fondato fu approvato nel 1196 da papa Celestino III. Scrisse diverse opere, tra cui alcune dove propugnava un rinnovamento sociale e religioso della Chiesa, ed altre di carattere visionario e profetico, molto famose nel Medio Evo.
Ci piace considerare la figura dell’abate Gioacchino da Fiore -tra i personaggi storici- e la cittadina di Catona –tra le località geografiche- come le due più preziose “perle” calabresi nella “Divina Commedia”.
VINCENZO DAVOLI |
18 MARZO RICORRENZA NAZIONALE VITTIME DEL CORONAVIRUS
Oggi 18 marzo 2021 è la prima ricorrenza della “Giornata Nazionale in memoria delle vittime del corona virus”, istituita del nostro Parlamento.
Un anno, quello che appena passato, duro, difficile, drammatico, che ha sconvolto e cambiato le nostre vite, le nostre abitudini che ha inciso negativamente su tutti gli aspetti della società civile, sociale, politico, amministrativa ed economica, ma anche su quella familiare e affettiva. I numeri, circa 100.000 dicessi, attestano la drammaticità della pandemia di questo virus, a volte letale, che ha distrutto la serenità e l'operatività di una nazione. Abbiamo vissuto momenti drammatici e commoventi, ricordo le lunghe file dei mezzi dell'Esercito Italiano alle prese con questo nemico invisibile e le bare dispiegate a terra come se fossero dei caduti di guerra; ricordo anche i momenti di musica e di canti fatti dai balconi delle case, dei palazzi con le scritte “andrà tutto bene” nella speranza di sconfiggere anche con la mente il tremendo nemico. Un pensiero particolare a tutti coloro i quali hanno versato lacrime in silenzio per la perdita dei propri cari e a cui non hanno potuto nemmeno fare omaggio di un semplice fiore tenendo stretto nel cuore il proprio dolore e la propria sofferenza.
A distanza di un anno si intravede una luce di speranza grazie alla campagna vaccinale. L'auspicio è quello che il prima possibile riusciamo a ritornare alle nostre quotidianità e alle nostre libertà fortemente compromesse, rivedere ragazzi e bambini correre e giocare spensieratamente nei viali e nei parchi urbani.
Un caloroso è virtuale abbraccio a tutti indistintamente coloro che sono stati al servizio della Patria per fronteggiare il terribile virus sacrificando a volte la propria vita.
Un abbraccio e a presto.
Il Sindaco
Giuseppe Pizzonia |
FRANCAVILLA VOLUME SECONDO
Omaggio alla Francavilla che fu, nella speranza che i suoi figli abbiano ancora tanto amore per conoscere i loro antenati e le loro storie di vita in famiglia, nella comunità tutta e nei vati rapporti avuti con i paesi dell'angitolano.-
1778/25
Oggi dodici del mese di dicembre dell’anno predetto, nella Terra di Francavilla, dinanzi a Noi compaiono il Magnifico Giacinto Cauzzi del fu Antonio, come Sindaco d’essa Terra, ed Università di Francavilla, ben cognito. Asserisce in presenza Nostra detto Sindaco come detta Comunità, ed Università sua Principale, tiene avanti la Veneranda Chiesa di San Pietro, Principe degli Apostoli, situata nella Contrada detta la Porta di Basso un Largo, un Planizio per comodo del pubblico, e per veduta di detta Chiesa, confina la Facciata della stessa, e strada pubblica. Quale Largo, è quello stesso in dove anticamente trovavansi fabbricate le Case di Nicoletta Vaiti, di Catarina, e Bernardo Ghaccetta, e di Girolamo Parisi, li quali per il Fondo delle medesime Case pagavano di censo perpetuo grana diciassette, e mezzo alla sudetta Ducal Corte, e poi l’Università sudetta per aver detto comodo di Largo e per veduta di detta Chiesa, ad onor della Patria medesima, comprò dette Case e le dirupò, e fabbricò, e fece detto Piano, e Largo, come attualmente si ritrova avendo pagato e paga detto annuo censo di grana diciassette, e mezzo ad essa Ducal Camera, in luogo dei nomati di Vaiti, Ghaccetta, e Parisi; detto di Cauzzi, come Sindaco s’obliga a pagare il censo perpetuo a nome dell’Università.
Tante nortizie storiche sul primo e secondo volume Francavilla e dintorni.
VINCENZO A. RUPERTO
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5 MARZO 2021 SAN FOCA MARTIRE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS COVID-19
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ALL’ AMMIRAGLIO FRANCESCO CIPRIOTI
ILLUSTRE DEVOTO DI SAN FRANCESCO DA PAOLA
Rinnovando una Sua squisita, gentile consuetudine che ormai si ripete da vari anni, anche per il 2021 il nostro fraterno amico Comm. Francesco Ciprioti ci ha voluto inviare copia del pregevolissimo calendario illustrato della Marina Militare italiana. L’ammiraglio Ciprioti, dopo essere stato per lunghi anni Comandante della Capitaneria di Porto di Vibo Marina, ha mantenuto, e continua ad intrattenere, strette relazioni di amicizia, non solo con la cosiddetta “Gente di Mare” operante nei Comuni rivieraschi del golfo di Sant’Eufemia, ma anche con certi paesi dell’entroterra, come Francavilla Angitola e Filadelfia, particolarmente devoti a San Francesco di Paola, il grande taumaturgo calabrese che per il miracoloso attraversamento dello stretto di Messina (secolo XV) salpò dalla spiaggia di Catona (Reggio Calabria) giusto a pochi metri di distanza dall’attuale residenza dell’Amm. Ciprioti, che come suo fervente devoto si onoradi portare lo stesso santo nome “Francesco”.
Fraternamente grati per la Sua vigile e garbata “attenzione” si pregiano di inviare all’esimio Ammiraglio cordiali saluti ed auguri di ogni bene, ripetendo il classico motto di lavora sul mare “Buon vento!”
l’avv. Giuseppe Pizzonia, Sindaco di Francavilla Angitola; l’ing. Vincenzo Davoli e consorte Ida De Caria; Giuseppe Pungitore e consorte Concetta Ciliberti; la comunità di Francavilla Angitola con i tanti conoscenti ed estimatori del Comm. Amm. Francesco Ciprioti.
Vincenzo Davoli |
Questa testata dedica la prima pagina del numero di febbraio.
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L’ORATORIO APERTO DA DON PASQUALE SERGI
NEI RICORDI DELLA CATECHISTA IDA DE CARIA
Ho appreso con tristezza la notizia della dipartita (il 31 gennaio 2021 a Pizzo) di don Pasquale SERGI. Di lui voglio ricordare in particolare la grande disponibilità che sempre ha profuso per la buona riuscita delle varie iniziative ed attività che venivano intraprese nell’Oratorio, l’istituzione parrocchiale prediletta dall’arciprete Sergi. Don Pasquale volle intitolare l’Oratorio a San Domenico Savio, quale faro, simbolo e modello per i ragazzi che lo frequentavano. Ricordo altresì che Egli considerava l’Oratorio come un luogo “speciale”, non solo di ricreazione dei ragazzi, ma di formazione e di aggregazione e quindi aperto non soltanto ai giovani, ma anche agli adulti e alle famiglie, in quanto spazio di incontro, di crescita, di tolleranza; il suo motto era pertanto: Oratorio, famiglia delle famiglie.
Don Pasquale Sergi aveva l’hobby della fotografia; era solito ritrarre con la macchina fotografica i momenti salienti della vita parrocchiale, quali: ricorrenze religiose, attività catechistiche, pellegrinaggi, gite, scampagnate, festicciole, recite. Con le fotografie meglio riuscite componeva poi quadri-mosaico che esponeva sulle pareti delle stanze dell’Oratorio, così che ognuno poteva riconoscersi e ricordare momenti allegri e sereni vissuti in comunità. Per ribadire la sua speciale devozione alla figura del Santo adolescente a cui l’Oratorio era stato dedicato, nell’ultimo periodo del suo lungo ministero svolto a Francavilla, don Pasquale fece installare una statua di San Domenico Savio nel cortile antistante l’edificio adibito a nuovo Oratorio.
Ida De Caria
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IN MORTE DI DON PASQUALE SERGI (31 GENNAIO 2021)
Con immenso dolore dobbiamo svolgere un compito particolarmente ingrato, quello di comunicare, soprattutto ai nostri seguaci “followers” che ci seguono da lontano, la notizia dell’improvviso, prematuro decesso di don Pasquale SERGI, avvenuto a Pizzo domenica 31 gennaio, giorno caro al Sacerdote defunto, in quanto festa liturgica di San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani e Maestro del Santo adolescente Domenico Savio, a cui lo stesso arciprete don Sergi volle intitolare il nuovo Oratorio di Francavilla Angitola. Per don Pasquale il paese di Francavilla, più che essere stata la sede di un ministero sacerdotale particolarmente lungo, è stato soprattutto un luogo assai caro, perché qui viveva una comunità, da Lui affettuosamente considerata come la “sua famiglia acquisita”, gemella della sua famiglia naturale abitante a Pizzo.
In questo momento di smarrimento, di confusione e di profonda tristezza non possediamo la lucidità necessaria per riuscire a stilare un ricordo esaustivo del lungo, fecondo lavoro pastorale da Lui svolto per 33 anni, dal 1978 al 2011, a Francavilla.
Anzitutto ai familiari e congiunti di don Pasquale, quindi al Vescovo Mons. Luigi RENZO e a tutto il clero diocesano, nonché ai religiosi e religiose della diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea, esprimiamo commossi il nostro cordoglio, e a suffragio della sua anima santa di Sacerdote rivolgiamo al Signore il Requiem aeternamper i defunti alla terra e diretti al Cielo.
Vincenzo Davoli, Ida De Caria, Giuseppe Pungitore, Concetta Ciliberti
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Commiato da Francavilla Angitola di Don Pasquale Sergi
La mia voce, il mio pensiero, i miei scritti, li conoscete piuttosto bene, come conoscete i miei sentimenti e le mie opere. Ho cercato di essere padre, fratello ed amico, senza dimenticare il mio compito di guida e testimone. Vi ho sempre spronati alla corresponsabilità e al sano protagonismo “per e con la Comunità”, coinvolgendovi in molteplici attività. Ce l’ho messa tutta, e pertanto non mi dispiace per non essere riuscito a fare di più e meglio. Nessuno di noi è perfetto in tutto, sempre e comunque. Per di più, il Signore non pretende che facciamo ciò di cui non siamo capaci. A ciascuno i suoi talenti, a ciascuno le sue responsabilità. Sono orgoglioso di quanto, insieme a voi, sono riuscito a realizzare nel tempo. Sono orgoglioso di concludere il mio ministero a Francavilla, subito dopo la riapertura della Chiesa del Rosario, ultimo prestigioso regalo a questa Comunità di Fede, Speranza e Carità. Quest’opera, e non le feste esterne, rimarrà imperitura nel tempo, sempre pronta ad accogliere le persone di fede, caricarle nello spirito e proiettarle nel sociale, per un progresso comune sempre costante e migliore. Ancora una volta, ringrazio dal più profondo del cuore chi mi ha voluto bene ed ha collaborato con me specie con sacrifici: vivi e defunti, giovani e anziani, della prima e dell’ultima ora, specialmente i catechisti che si sono succeduti nel tempo, gli animatori dell’Oratorio, e in modo del tutto speciale il Consiglio pastorale che, per anni, ha condiviso tutto con me, croci comprese. - A voi tutti presenti, - a voi assenti ma che desiderate il bene reale di Francavilla, - al vostro nuovo parroco don Mimmo, - alle pubbliche autorità, auguro ogni bene. Insieme, con l’aiuto del Signore, mirate a traguardi migliori e duraturi . Al nostro vescovo, per cui vi sollecito a pregare sempre, così come avete fatto con me: grazie di cuore! Adesso, dopo l’intervento autorevole e decisionale del vescovo, simbolicamente affido al nuovo parroco, in nome e per conto della comunità parrocchiale, il calice d’oro, quale segno e cementazione di passato e presente, valori spirituali e sentimentali, speranze e lacrime tramutate in un unico sacro oggetto, prezioso, bello, significativo e duraturo. Mi piace concludere con un concetto, già espresso nell’inaugurazione di questo calice il 3 marzo 2002: “Gli ex voto, fusi, hanno formato sì un solo Calice, d'oro massiccio, artistico e prezioso, ma anche un solo Grande Cuore palpitante, un cuore aperto a tutti, un cuore sensibile, generoso, oblativo. Sia di buon auspicio, perchè questa Comunità, la nostra, sia sempre più unita: nelle intenzioni, nei sentimenti, nei progetti, e soprattutto nel concreto di ogni giorno, e a comune vantaggio”. Amen!
Francavilla Angitola, 11 sett. 2011 Don Pasquale Sergi |
UNA CANTATA NATALIZIA RIVOLUZIONARIA DALL’AMERICA LATINA
In questo anomalo inverno 2020-2021 i cristiani di tutto il mondo, a causa del contagioso Coronavirus Covid 19, hanno dovuto trascorrere le varie giornate di festività natalizie in maniera particolarmente semplice e dimessa, molto diversa da certi Natali sfolgoranti e dispendiosi celebrati negli anni passati. Tuttavia grazie ad un inatteso “dono”ho scoperto un’altra, per me nuova, modalità di celebrare quelle feste, assai differente dal Natale italiano, dal Noel francese, dal Christmas angloamericano, dal Weihnachten tedesco.
Negli ultimi giorni dell’Avvento il dottor Mino Piervitali da Madrid, tramite internet, mi ha inviato i classici auguri di Buone Feste, ma questa volta vi ha allegato il video di una musica natalizia cantata in lingua spagnola. Mino Piervitali è un industriale italiano, da parecchio tempo trasferito in Spagna, dove aveva aperto una fabbrica per produrre impianti e reti di irrigazione; i suoi prodotti venivano esportati anche in America Latina, e in particolare nell’isola di Cuba. Ormai ritiratosi dall’ attività imprenditoriale, il dottor Mino è rimasto a Madrid, mantenendo però buone relazioni telefoniche o telematiche con parenti, amici e conoscenti italiani. Ho conosciuto M. Piervitali grazie alla mediazione del francavillese-romano dottor Gino Ruperto, suo cognato e mio carissimo amico. Non ho mai visto da vicino il dottor Mino, ma abbiamo preso l’abitudine di trasmetterci reciprocamente saluti e auguri nelle principali ricorrenze di ogni anno, nonché di scambiarci, in qualsiasi altro momento, varie e curiose informazioni riguardanti luoghi e personaggi della Spagna e dell’Italia. Poiché ritenevo che Mino Piervitali fosse un moderato, un liberal illuminato, mi sono proprio meravigliato di ricevere da lui una cantata natalizia così “rivoluzionaria” quale appare sin dalla prima lettura il brano intitolato “Cristo de Palacagüina”. Quando ho letto per la prima volta il testo in spagnolo della cancion ho pensato che fosse ambientata in Spagna nella zona montuosa attorno all’antica città romano-iberica di Segovia. Ma certi vocaboli strani e i toponimi Mollogalpa e Chichigalpa, con il suffisso analogo a quello della capitale dell’Honduras, “Tegucigalpa”, mi hanno indotto a pensare che si trattasse di un canto nato nell’America centrale. Dalle ricerche svolte via internet ho subito scoperto che quella canzone natalizia era in realtà un canto popolare del Nicaragua, espressione emblematica della rivoluzione sandinista e della cosiddetta “Teologia della liberazione” assai diffusa in tutta l’America latina nella seconda metà del Novecento. Composta dal musicista nicaraguense Carlos Mejia Godoy, molto apprezzato da Ernesto Cardenal (prete rivoluzionario, grande esponente della Teologia della liberazione e dell’ala cattolico-marxista del movimento sandinista), il brano divenne quasi un inno dei lavoratori in rivolta contro Ortega, dittatore del Nicaragua. Insieme ad altre musiche composte dal suddetto musicista nicaraguense (come il Credo e la messa “Misa Campesina Nicaragueña”) la cantata del Cristo de Palacagüina è divenuta molto popolare in America Latina, diffusa in diverse versioni, come sovente capita ai canti popolari più famosi. Dal Centro e dal Sud America si è diffusa in Spagna per merito soprattutto dell’attrice cantante Elsa Baeza.
Il dottor Piervitali mi ha inviato la versione della cantautrice messicana Amparo Ochoa, cantata appunto da Elsa Baeza. Figlia del poeta e scrittore cileno Alberto Baez e della cubana Elsa Pacheco, l’artista Elsa Baeza è nata a Cuba nel 1947, ma quand’era bambina la sua famiglia si trasferì in Spagna. Dopo aver interpretato tre film, Elsa si è dedicata alla carriera di cantante, affermandosi soprattutto nella musica folk e nelle canzoni melodiche e popolari; incidendo numerosi dischi, partecipando a tournées, concerti e vari spettacoli televisivi, uno dei suoi più grandi successi è stato appunto il Cristo de Palacagüina. Qui di seguito è riportata una versione di tale canto in un linguaggio castigliano-centramericano corredata da una traduzione italiana del dottor Piervitali.
“Por el cerro de la Iguana / Montaña adentro de las Segovias / Se viò un resplandor extraño/ Como una aurora de medianoche/ Los maizales se prendieran /
Los quiebraplatos se estremecieron /Lloviò luz por Mollogalpa /Por Telpaneque, por Chichigalpa
Ritornello- ==Cristo ya naciò en Palacagüina / De Chepe Pavòn y una tal Maria /
Ella va a planchar muy humildemente / La roba que goza la mujer hermosa del terrateniente.==
Las gentes, para mirarlo, se rejuntaron en un molote/
El indio Joquinle trajo quesillo en tranzas de Nagarote/ En vez de oro, incienso y mirra /
Le regalaron, segun yo supe / Cajetitas de Diriomo y hasta buñuelos de Guadalupe
Ritornello - ==Cristo yanaciò ……==
Jose pobre jornalero se mecatella todito el dia / Lo tiene con reumatismo en el tedio la carpinteria / Maria sueña que el hijo, igual que el tata, sea carpintero /
Pero el chavalito piensa: “mañana quiero ser guerrillero”.
Ritornello ==
Traduzione in italiano
Verso il colle dell’Iguana / Nella selva montana delle Segovie / Si vide uno strano bagliore /
Come di un’aurora a mezzanotte. / I campi di mais presero fuoco / Le lucciole tremolarono /
Una luce inondò Mollogalpa / Telpaneque e Chichagalpa.
Ritornello- Era nato Cristo a Palacagüina / Da Peppe Pavon e da una certa Maria /
Lei, molto umilmente, stira la veste, che sfoggia la bella moglie del possidente==
La gente per vederlo si riunisce in un crocchio /
L’indio Joaquin gli ha portato trecce di formaggio di Nagarote/
Invece di oro, incenso e mirra / Gli hanno regalato, come io seppi /
Dolcetti di Dioromo e persino frittelle di Guadalupe / =Ritornello=
Giuseppe, povero operaio, s’arrabatta un po’ tutto il giorno /
Ha i reumatismi e non ne può più della falegnameria /
Maria sogna che il figlio, come suo padre, faccia il lavoro di falegname /
Ma il ragazzo invece pensa: domani vorrò essere un guerrigliero.
Mi piace immaginare questa cantata centramericana come una sorta di “Presepio vivente musicale”, adattabile persino alla Calabria, dove le Segovie diventano le nostre Serre; Mollogalpa, Telpaneque, Chicigalpa potrebbero essere paesi come Vallelonga, Capistrano e San Nicola; Palacagüina diventa Francavilla, location di molti “presepi viventi”. Senza offendere il Santo, a cui il corrente 2021 è stato dedicato come Anno Santo, San Giuseppe, ovvero il Chepe Paron, può diventare un Mastro Peppe, falegname emblematico di qualche paese calabrese. Le trecce di Nagarote potrebbero essere le trecce di mozzarella prodotte a Curinga; le cajetitas de Diriomo diventano i famosi mostaccioli di Soriano; le frittelle di Gudalupe, sostituite dalle zeppole di tanti paesi calabresi, come Filadelfia, Polia, Filogaso, Maierato; al posto dell’oro, incenso e mirra donati dai Magi: i tartufi gelati di Pizzo, i torroni del Reggino, e i frutti più amari (come il cedro o il pompelmo) tra i tanti agrumi coltivati in Calabria. La magia della Natività del Niño, del Bambino Gesù, si può diffondere per tutti i continenti e fra tutte le genti.
VINCENZO DAVOLI |
17 GENNAIO GIORNATA DEL DIALETTO
COSTUME VECCHIO E NUOVO
Vincenzo Ruperto
La màmma de na cummàra
parìa ca èra na cotràra
cu la fàccia rùssa e jànca
mu si mòva mài fŭ stànca,
volìa sèmpa mu fatìca
e mu si vèsta a l’antìca.
Pe prìma sèmpa s’azàva
e mu si vèsta ncignàva,
lu marìtu ‘on risvigghjiàva
ca nto lièttu rafulijàva.
Na jànca suttàna ‘e lìnu
de sùtta o’pièttu chjìnu
era accussì tànta fìna
cuòmu na cartavelìna
la mùstrava nùda nùda
beᶁa cuòmu sèmpra fŭda.
---
A lu cumò s’appojàva
la spìnzera s’aggiustàva,
lu pànnu rùssu calàva,
lu juppùni s’acconzàva,
na cùda lònga dassàva
ca chìᶁu pànnu mustràva
cu davànti lu faddàli,
cu li tièmpi frìddi e màli
non mancàva lu vancàli,
sùpa ‘a tèsta sùpa i spàḍi
calàva tùttu lu sciàḍi.
Tùtta jànca la cammìsa
sutta ‘u cuòḍu si la mìsa.
A lu spècchiu si guardàva,
tùtta tùtta si prejàva,
cu li jìjita ‘e na mànu,
stricàndusi chiànu chiànu,
si cacciava li gariḍi,
s’acconzàva li capìḍi
cu li tànti ferrettìni,
chìstu facìa li matìni,
nta lu cuòḍu li brillòcchi
nci luciànu cuòmu l’uòcchi.
Jìa la scàla pèmmu sagghjia
nu gradìnu jìu mu sbàgghjia
scivulàu ḍantèrra càtta
cu na mànu jìu mu sbàtta
dùva nc’èra na gaḍinàzza,
ammucciàta cu li vràzza
si tenìa la faccia beḍa,
si mìsa mu si ribèḍa,
nci portàru na tinèḍa
mu si làva màni e pèda,
ma tùtta pèmmu si làva
na coddàra non bastàva.
Lu marìtu jìu ma vìda
e si mìsa mu la grìda
‘bòna bòna t’acconzàsti
nda cumbìni dànni e guàsti,
hài mu ‘a fìni de vestìra
si mpiàstri matìna e sìra.
Dàssa stàra vancàli e sciàḍi
mu si vìda tèsta e spàḍi,
dàssa stàra chìḍa cùda
ca d’arrièdi tùttu chiùda,
na vèsta nòva cu la calàta
mùstra pùru la nchjianàta.-
Fùda bòna la penzàta
e si fìcia la cangiàta.
La màmma da cummàra
mo pàra na cotràra,
na cotràra posteràra,
cuòsi nuòvi vòla ‘u mpàra.
Mò non àva chjiù li còccia
ca si làva cu la dòccia
e sapùni bagnoschiùma,
ognitàntu si la fùma,
su na sèggia piccirìḍa
gàmba e còscia mu si vìda
s’assètta ùnghji mu si tìngia,
cu la vùcca fàcia ‘a grìngia
li làbbra mu pìtta rùssi,
cu la frièvi cu la tùssi
si pròva cammìsi e gònne ,
pòrta coziètti ‘e nailònne,
d’uòru ricchìni e pendàgghji
s’annassìja ‘u còcia l’àgghji,
o’màra cu lu bichìni
mùstra gàmbi e mìnni chjìni.
La màmma da cummàra
non èna chiù cotràra,
ma fìmmina rànda e nòva
mùndu nuòvu jìu mu tròva.
---
La mamma di una comare/sembrava essere una ragazza/con la faccia rossa e bianca7volle sempre faticare/ e vestirsi all'antica./ Era la prima ad alzarsi/e per vestirsi iniziava,/il marito non svegliava/che nel letto russava./Una bianca sottana di lino/di sotto il petto pieno/ era così tanto sottile/come una carta velina/la mostrava nuda nuda/bella come sempre fu./ Al comò si appoggiava/la camicetta di aggiustava,/il panno rosso calava,/il giubbone di aggiustava,/un coda lunga lasciava/ che quel panno mostrava/coo davanti il grembiule,/con i termpi freddi e cattivi/non mancava il vancale,/sopra la testa e le spalle/calava tutto lo scialle./Tutta bianca la camicia/sotto il collo se la mise./ Allo specchio si guardava,/tutta tutta si ammirava,/con le dita di una mano/ stropicciando piano piano,/si cacciava le cispe,/si aggiustava i capelli/con le tante forcine,/questo faceva le mattine,/al collo le colle/le luccicavano come gli occhi./Andava la scala per salire/andò a sbagliare un gradino/scivolò e a terra cadde,/con una mano andò a sbattere/dove c'era uno sterco di gallina,/nascosta con le braccia/si teneva la faccia bella,/si mise ad allarmare,/le portarono un tinello/per lavarsi mani e piedi,/ma per lavarsi tutta non bastava.//il marito andò a vederla/e si mise a sgridarla/buona buona ti aggiustasti/ne combini danni e guasti,/la devi finire di vestire/questi impiastri mattina e sera,/Lascia stare vancale e scialle/che si veda testa e spalle,/lascia stare quella coda/che di dietro tutto chiude/una veste nuova con la discesa/mostra pure la salita .-
/Fu buona la pensata/e si fece la cambiata./la mamma della comare/ora pare una ragazza,/una ragazza posterara,/cose nuove vuole imparare./Ora non più i foruncoli/perché si lava con la doccia/e sapone bagnoschiuma,/ogni tanto se la fuma,/su una sedia piccolna/gambe e cosce fa vedere/si siede le unghie per tingersi,/con la bocca fa la smorfia/le labbra per tingersele rosse,/con la febbre e con la tosse/si prova camicie e gonne,/porta calze di nailon,/di oro orecchini e collane/si nausea a cuoce gli agli,/al mare con il bikini/mostra gambe e mammelle piene./La mamma della comare/non è più una ragazza,/ma una adulta donna e nuova,/un mondo nuovo andò a trovare.
[1]Spinzera, camicetta di raso, di velluto, di seta.
[1] Pànnu rùssu, era il panno rosso che andava dai
seni alle caviglie, il colore poteva essere anche
amaranto.
[1] Juppùni, giubbone, era il busto di stoffa posto
sotto la camicetta con stecche di osso levigate.
[1] Cùda, la parte della gonnella arrotolata intorno
alla cintura dei fianchi lasciava cadere un
cascante (cuda) in modo tale da far vedere il
panno rosso. In caso di lutto la gonnella era disciolta
e avveniva la ‘calata’.
[1] Faddàli, era un grembiule quasi sempre nero,
ampio e attaccato al corpo con una cordicella
dello stesso colore.
[1]Vancàli, era un pezzo di stoffa lungo due
metri, rettangolare, che era posto da destra
vancale era di stoffa piuttosto pesante dai
colori sfumati rosso e nero. In origine era di
stoffa pregiata e tessuta in casa, seta o lino, tinto
con bucce di melograno (il nero) e anellina o con
altri ingredienti colorati trovati nelle campagne
o da bucce di altra frutta. (Descrizione avvocato
G. B.Petrocca in un suo inedito scritto).
[1] Sciàḍi, a sinistra sulla testa e avvolto intorno al petto.
Il scialle, era: ’un capo di vestiario
di seta o di stoffa (colore marrone per
vedovanza o età avanzata) molto lungo
e piegato doppiamente, con lunga e
ricca frangia, dalla parte delle spalle
fino al deretano.
[1] Ferrettìni, forcine per appuntare i capelli.
[1] Brillocchi, i ciondoli della catena d’oro.
[1] Gaḍinàzza, escremento della gallina.
[1] Tinèḍa, piccolo tino |
BASILE ARACRI – NEL CENTESIMO QUINTO ANNIVERSARIO
DELLA SUA NASCITA A FRANCAVILLA ANGITOLA, IL 2 GENNAIO 1916
Articolo di Vincenzo Davoli
Non ho avuto il piacere di conoscere e neppure di incontrare o vedere da vicino il professore Basile Aracri; cosicché oggi mi viene difficile dare un titolo efficace a queste mie frasi frammentarie scritte in suo onore in occasione del 2/02/2021. Si tratta di una giornata veramente speciale per quest’illustre Uomo francavillese, poiché in tale data ricorre sia l’anniversario della sua nascita, avvenuta a Francavilla Angitola il secondo giorno di gennaio 1916 (cioè nel vivo della Prima guerra mondiale), sia l’onomastico, in quanto il 2 gennaio di ogni anno la Chiesa festeggia un santo vescovo di Cesarea in Cappadocia, venerato come San Basilio (ovvero Basile) seguito dall’appellativo Magno, giustamente conferitogli per aver impartito ai suoi discepoli (che da Lui presero il nome di “basiliani”) sagge regole di vita monastica improntata alla carità, all’obbedienza e alla disciplina, raccomandando loro di impegnarsi non solamente nella meditazione delle Sacre Scritture, ma di lavorare anche manualmente e intellettualmente, e di prendersi cura dei poveri e dei malati.
I genitori di Basile erano entrambi francavillesi e si chiamavano Nicola Bernardo Aracri e Vittoria Lazzaro; si erano sposati nella chiesa di San Foca il 26/8/1911. In verità Nicola Aracri, pur appartenendo ad antichissima famiglia francavillese, filiana della Parrocchia delle Grazie, e pur avendo trascorso la sua esistenza a Francavilla, era nato il 20/05/1887 a Cortale, paese di origine di sua madre, la cortalese Filomena Parisi, che aveva sposato il francavillese Bruno, ossia il nonno paterno del nostro Basile Aracri. I genitori Nicola B. Aracri e Vittoria Lazzaro ai loro figli maschi vollero dare nomi insoliti e particolari.
Al primo maschio, nato il 20/05/1913, furono dati i nomi Dante (come il sommo poeta) Bruno (come il nonno paterno) Nicola (come il padre); a Francavilla viene ricordato come “Dante Aracri”, abile falegname-ebanista.
Il secondo maschio, nato come già detto il 2/01/1916, venne battezzato il 10 gennaio, avendo come madrina la levatrice Concetta Rauddi. A lui furono attribuiti questi tre nomi: Basile, Guido, Roberto. In verità nessuno dei tre nomi rinnovava quello di parenti o antenati né del ramo paterno, né di quello materno. Addirittura il nome “Basile” è un unicum a Francavilla; a nessun altro francavillese nato prima, oppure dopo, il benemeritoprofessore Aracri, è stato attribuito il nome Basile (ovvero Basilio). Anche gli altri due nomi, Guido e Roberto, a Francavilla sono piuttosto rari. Probabilmente il nome “Basile” gli fu dato in onore del grande Santo di stirpe greca, Basilio Magno, la cui festa liturgica viene appunto celebrata il 2 gennaio, data di nascita del piccolo Aracri. Forse il secondo nome “Guido” gli era stato dato in omaggio ad un poeta che in quegli anni era molto apprezzato, ossia Guido Gozzano, il massimo esponente italiano della poesia crepuscolare.
Ovviamente questi scarni dati anagrafici riguardanti il cittadino francavillese Basile Aracri, e i suoi familiari ed antenati, sono stati da me reperiti nei registri comunali e parrocchiali di Francavilla. Sennonché già molti anni prima del mio arrivo a Francavilla avevo sentito parlare di un valente professore di latino e greco, di nome Basile Aracri; me ne avevano parlato mia sorella Maria e mio fratello Agostino Davoli. Questi miei congiunti, avendo studiato al Ginnasio-Liceo Classico “Francesco Fiorentino” di Nicastro, conoscevano bene il professore Basile Aracri, ma ignoravano che egli fosse nativo di Francavilla Angitola. Rievocando gli anni di studio trascorsi in quell’istituto, ricordavano non solo i nomi di molti loro compagni, ma anche quelli di alcuni professori del liceo, allora ospitato nel convento di San Domenico; soprattutto ricordavano certi docenti prestigiosi,come il preside Oreste Borrello, come i fratelli professori Italo e Ciccillo Reale, le professoresse Cerminara e Parlati, nonché il professore di Latino e Greco, Basile Aracri.
Io, pur non avendo conosciuto né mai incontrato il professor Aracri, ho comunque avuto modo di leggere due suoi scritti molto significativi. Lo scritto più lungo è la “minuta”, peraltro assai mutilata, di un elogio funebre pronunciato dal prof. Aracri il 1° novembre 1944. Il secondo scritto è l’iscrizione, composta da Basile Aracri, di una lapide marmorea collocata nel liceo “Fiorentino”. La lapide ricorda il benemerito e dotto sacerdote Don Luigino Costanzo, che fu anche nominato Provveditore agli Studi della provincia di Catanzaro nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Il professore Aracri ricordò l’insigne prelato umanista con queste espressioni icastiche, fini e delicate, incise nel marmo della lapide:
A LUIGI COSTANZO
CHE
IL DOLORE DELLE COSE
TEMPRÒ
DI SERENA DOLCEZZA
E
LA VITA TUTTA
SENTÌ
COME SACERDOZIO
DI CIVILTÀ E UMANITÀ
Dal lungo elogio funebre composto per l’improvvisa, dolorosa morte di Giuseppe Ruperto, genitore del dottor Gino, di Peppino e di Domenico Ruperto, emerge la notevole cultura umanistica del giovane professore Basile Aracri e soprattutto la sua profonda conoscenza dei temi fondamentali delle opere classiche greche e latine, scritte dai tragici, dai poeti e dai filosofi: il fato, il dolore, la gioia, il destino, l’invidia degli dei, racchiusa nell’amara sentenza, ripetuta anche da molti scrittori moderni, come Leopardi, secondo cui: è preferibile per l’uomo non essere mai nato o, appena nato, varcare subito la soglia dell’Ade.
Concludiamo questa frammentaria carrellata biografica riguardante Basile Aracri indicando brevemente i momenti più importanti dell’esistenza sua e dei suoi familiari.
-Basilio Guido Roberto Aracri nacque a Francavilla Angitola il 2/01/1916.
-Laurea in Lettere classiche all’Università di Napoli il 21/11/1941, subito seguita da una supplenza al Liceo Classico “F. Fiorentino” di Nicasto per la cattedra di Latino e Greco.
- Matrimonio con la francavillese Maria De Sibio, professoressa di Lettere alle Medie e al Liceo Scientifico.
- Dal matrimonio nacquero due figli: Nicolino (nato nel 1955, poi medico); Annarita (nata nel 1966, avvocato)
- Nel 1955 la famiglia Aracri si trasferì a Roma, dove il prof. Basile continuò la sua attività didattica nel Liceo classico “Augusto”.
- Nel 1975 la casa editrice UTET pubblicò la traduzione in italiano, svolta dal prof. Aracri di due opere latine di Petrarca: De otio religioso – Testamentum.
- Nel 1979 il prof. Basile Aracri si ritirò dall’attività didattica.
- Il 5-08-1990 morì a Vibo Valentia, dopo il ricovero nel locale ospedale. Fu sepolto nel cimitero di Francavilla.
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AUGURI FRATERNI PER FINE ANNO MALEDETTO E SPERANZOSO ANNO NUOVO, ogni tanto ricordare le nostre tradizioni non guasta, se il tempo lo consente leggete, è storia dei nostri avi.
Di Vincenzo A. Ruperto
LA STRINA
Canto popolare francavillese
riportato e tradotto con brevi commenti
PARTE PRIMA
Coro o singola voce (era cantata da due o più persone assieme, rare volte da singola persona con altro o altri facenti la funzione del coro nei versi ripetuti.)
Fàmmi la Strìna ch'è Capudànnu,
fammìla bòna ca si nnò mi dànnu.
A' mmiènzu sa càsa vìju na carpìta 1
sa figghjia mu la vìju rìcca e zìta.
A' mmienzu sa casa viju nu palùmbu
ca nc’è l’uòru de tùttu lu mùndu.
A' mmienzu sa casa viju na sfèra,
crìju ca l’amìcu è chi si lèva.
Lèvati chjiànu chjiànu pe nòmmu càdi.
Lèvati chjiànu chjiànu pe nommu càdi.
Cacciàtinci li sièggi da li pèda,
crìju ca lu tizzùni è de ficàra.
Criju ca lu tizzùni è de ficàra
pe' cchìssu non s'appìccia la lumèra,
tornàmu arrièdi ca s’avìa scordàtu
a chiavicèḍa de lu tavulàtu,
santu Antonìnu fancìla trovàra.
Santu Antonìnu fancìla trovàra
la chiavicèḍa de li cuòsi buòni
La chiavicèḍa de li cuòsi buòni:
zìppuli, nùci e cuosi de mangiara.
Zìppuli, nùci e cuòsi de mangiàra,
fammi la strìna chi mi suòli fara.
Fammi la strina chi mi suoli fàra
ca è capudànnu e non mi po mancàra,
càpu dell’ànnu e capu de lu mìsi,
pìgghjiali prièstu si l’hài de pigghjiàra.
Pìgghjiali prièstu si l’hài de pigghjiàra
nòn mi fàra cchjiù avànti penijiàra.
Tu cuòmu lu pùa sentìra stu scilu. 2
Tu cuòmu lu pùa sentìra stu scìlu
s'hài la schiùma cuòmu li ciarrambùa, 3
sienti chi dicia la chitarra mia.
Siènti chi dìcia la chitàrra mìa,
dìcia ca li trì ùri sù passàti,
e fàcia scùru e non vìju la vìa.
E fàcia scùru e non viju la via,
mi vàju arrumbulàndu pe li stràti,
si non vi dìssa quàntu v’ammieritàti.
Si non vi dissa quantu v’ammieritàti
mi perdùna la vostra signurìa,
non hàva chi dìra cchjiù la lìngua mìa.
Non hàva chi dìra cchjiù la lingua mia
e mi perdùna la vòstra signurìa,
vi dàssu cu la pàci de Marìa.
PARTE SECONDA
Rivolta alla donna (con singola voce o con coro come all'inizio)
Signùra, mia signùra, gran signurìa,
la vostra signurìa v'arraccumàndu
de quàntu tierri vi viju patruna,
de quàntu tièrri vi viju patrùna
pe' quantu arvuri lu vientu va minandu,
siti patrùna di quàttru castèlli.
Siti patrùna di quàttru castèlli
a Nàpuli, Spàgna, Palièrmu e Messìna,
appòsta, patrùna mia, siti tanta bella.
Apposta, patruna mia, siti tànta bèlla.
Cuòmu li ruòsi rùssi a li giardìni
a li mani vi mèranu l’anelli.
A li màni vi mèranu l’anèlli
e a chìssa gùla na catìna d’uòru,
lùcia cchjiù nu capìḍu de sa trìzza
ca nò na spàta d’uòru quàndu è nòva.
A chìsta rùga nci cumbenarìa,
a chìsta rùga nci cumbenerìa
n'àrvaru carricàtu de diamànti
e a li pèda na fùnti de surgìva.
E a li pèda na fùnti de surgìva
e sùrgerianu li bellìzzi a tùtti quànti
e nta lu miènzu n'àtra cosa averìa,
e nta lu miènzu n'àtra cosa averìa:
lu paradìsu cu tutti li santi,
e a la cima na rocchetta averìa. 4
E a cima na rocchètta averìa
staciàrianu mfrìscu li duònni galanti, 5
o imperatrici, sùpa a ogni galanti,
duònni galànti sùpa ogni galànti,
o imperatrìci supa ogni regìna,
Dio mu vi ndòta de bòna dottrina.
Dio mu vi ndòta de bona dottrìna.
Lu tùrdu mu vi càza lu spirùni
e lu grammùòniu davànti a ballàra. 6
E lu grammùòniu davànti a ballàra.
Vorrìa c’avìssi li suòrti dell’àpa
chi si guvèrna cu tutti li ħjiùri.
Chi si guvèrna de tutti li ħjiùri.
Vorrìa c’avìssi li fuòrzi d’Orlàndu
e li ricchìzzi de don Càrlu Magnu.
E li ricchìzzi de don Càrlu Magnu
e la sapiènza do rrè Salamùni
tàntu m’avìti de li buòni suòrti.
Tantu m’aviti de li buoni suòrti
quantu a Roma s'àrdanu candìli,
tantu m’avìti de li buòni suòrti.
Tantu m’avìiti de li buòni suòrti
pe’quantu a Roma nc’è finièstri e puòrti,
tantu m’aviti de li buòni suòrti
pe‘ quantu a Roma nc’è lètta de pànni.
FINALE
E nui cantàmu de sùpa stu chjiànu
triccièntu sàrmi mu li fai de rànu 7
E nui cantàmu de sùpa stu scuogghjiu
triccièntu giàrri mu li fai de uògghiju.
E nui cantàmu ad usu de carrìnu 8
triccièntu gùtti mu li fai de vinu.
E nui cantàmi ad usu de lu cìgnu
ogn'annu mu vi nèscia ogni disìgnu. 9
E nui cantàmu e pàssanu li grùi
e d'ogni vàcca mu vi nda fàcia dùi.
A mmiènzu sa casa vìjiu na lumèra
stanòtte mu vi figghjia la sumèra.
A mmiènzu sa càsa vìju nu casciùni
su figghjiu mu lu vijiu nu baruni.
A mmienzu sa casa vijiu na carpita
sa fìgghjia mu la vijiu ricca e zzita.
A mmiènzu sa casa viju nu palùmbu
cà nc’è l’uòru de tuttu lu mundu.
Fàmmi la strina chi mi suòli fara
ca è Capudannu e non mi po’ mancara.
Capu de l’annu e Capu de lu misi
siti ħjiùri de tutti li misi,
si non vi dìssa quantu v’ammeritàti,
mi perdùna la vostra signurìa,
non ha chi dira cchjiù la lingua mia,
mi perdùna la vostra signurìa
vi dassu cu la paci do Messia,
vi dàssu cu la pàci de Marìa.
TRADUZIONE E COMMENTI
PARTE PRIMA
Fammi la strenna che è Capodanno,/fammela buona sennò mi danno/ Nel mezzo della casa vedo una coperta/vostra figlia che diventi ricca e fidanzata./Nel mezzo della casa vedo un colombo/perché c'è l'oro di tutto il mondo/Nel mezzo della casa vedo una sfera,/credo che l'amico sta per alzarsi./Alzati piano piano per non cadere./Alzati piano piano per non cadere,/toglietegli le sedie dai piedi,/credo che il tizzone sia di legno di fico/per questo non si accende la lucerna,/torniamo indietro perché aveva dimenticato/la chiavetta del tavolato,/Sant' Antonino fai che la trovi./Sant'Antonino fagliela trovare/la chiavetta delle cose buone./La chiavetta delle cose buone:/zeppole, noci e cose da mangiare,/fammi la strenna che mi suoli fare./Fammi la strenna che mi suoli fare/che è capodanno e inizio del mese./prendile presto se le hai da pigliare./Prendile presto se le hai da pigliare./non mi fare più avanti penare./Tu come la puoi sentire questa goduria./Tu come la puoi sentire questa goduria/se hai la schiuma come i lumaconi./Senti cosa dice la chitarra mia./Senti che dice la chitarra mia,/dice che le tre ore sono passate,/e fa buio e non vedo la via./E fa buio e non vedo la via,/mi vado rotolando per le strade,/se non vi
dissi quanto vi meritate./Se non vi dissi quanto vi meritate/mi perdoni la vostra signoria,/non ha più che dire la lingua mia/e mi perdoni la vostra signoria,/vi lascio con la pace di Maria.
PARTE SECONDA
Signora, mia signora, grande signoria,/la vostra signoria vi raccomando/di quante terre vi vedo padrona,/di quante terre vi vedo padrona/per quanti alberi il vento va scuotendo,/siete padrona di quattro castelli,/Siete padrona di quattro castelli,/a Napoli, Spagna, Palermo e Messina,/per ciò, o mia padrona, siete tanto bella./Per ciò, o mia padrona, siete tanto bella./Come le rose rosse nei giardini/alle vostre mani si addicono gli anelli./Alle vostre mani si addicono gli anelli,/e al collo una catena d'oro,/luccica più un capello della treccia/che non una spada d'oro quando è nuova./A questa ruga ci converrebbe/un albero carico di diamanti/e ai piedi na fonte sorgiva./E ai piedi una fonte sorgiva,/sorgerebbero le bellezze ad ognuno/e nel mezzo una'altra cosa avrebbe,/e nel mezzo un'altra cosa avrebbe/il paradiso con tutti li santi,/e alla cima una rocchetta avrebbe./E alla cima una rocchetta avrebbe,/starerbbero al fresco le donne galanti,/o imperatrice, sopra ogni galante/donne galanti sopra ogni galante,/o imperatrice sopra ogni regina,/Dio che vi doti di buona dottrina,/il gallo che vi calzi lo sperone/e il granone davanti a ballare./E il granone davanti a ballare./Vorrei avere le sorti dell'ape/che si governa con tutti i fiori./Che si governa con tutti i fiori./Vorrei avere le forze di Orlando/e le ricchezze di don Carlo Magno./E le ricchezze di don Carlo Magno/e la sapienza di re Salamone/tanto che abbiate delle buone sorti./Tanto che abbiate delle buone sorti/per quanto a Roma si accendono candele,/ tanto che abbiate dalle buone sorti/per quanto a Roma ci sono finestre e porte,/tanto che abbiate delle buone sorti/per quanto a Roma ci sono letti di panni.
FINALE
E noi cantiamo da sopra questo Piano/trecento salme che tu possa fare di grano/ E noi cantiamo da sopra questo scoglio/trecento giare che le riempi d'olio,/E noi cantiamo ad uso di carlino/trecento botti che le riempi di vino./E noi cantiamo come fa il cigno/ogni anno che si realizzi ogni desiderio./E noi cantiamo e passano le gru/ed ogni vacca che ve ne figli due./In mezzo la casa vedo una lanterna/stanotte che vi partorisca l'asina./In mezzo la casa vedo una cassa grande/che il figlio lo possa vedere un barone./In mezzo la casa vedo una grossa coperta/che la figlia la possa vedere ricca e fidanzata./In mezzo alla casa vedo un colombo/perché c'è l'oro di tutto il mondo./Fammi la strenna che di solito mi fai/che è Capodanno e non mi può mancare./Capo dell'anno e capo del mese/siete il fiore di tutti i mesi,/se non vi dissi ciò che meritate/mi perdoni la vostra signoria/non ha più che dire la lingua mia,/mi perdoni la vostra signoria/vi lascio con la pace del Messia,/vi lascio con la pace di Maria.
Commenti su alcune parole e versi.
1) Carpìta, era una grossa elegante coperta usata come tappeto per abbellimento delle case.
2) Scilu, significato di goduria, grande desiderio.
3) Ciarrambùa, grossa lumaca, lumacone.
4) Parte alta della rocchia, fuso o rocchetto.
5) Imperatrici, galanti ecc., elogi per la signora alla quale è rivolta la Strina, paragonandola al di si sopra di ogni donna sia essa regina o della buona società.
6) Turdu, turhjiu o simile dizione, era così chiamato il gallo non ancora dotato sessualmente, tra pulcino e galletto. Lo sperone (spirùni) era detto l'ossicino che spuntava dietro alla zampa dello stesso. Grammùniu o Grammuòniu è il granturco ossia granone o mais.
7) Sarmi, la Salma era un'unità di capacità equivalente a quattro o 5 tomoli.
8) Carrìnu, sta per Carlino, antica moneta d'oro o argento dal tintinnio piacevole.
9) Disìgnu, per comprendere bene l'equivalente italiano disegno, meglio tradurre desiderio (in dialetto sarebbe disìu).
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La Strina era un canto popolare che allietava la fine del vecchio anno e l'inizio del nuovo. Francavilla, è un paese che sorge sopra un costone lungo a schiena d'asino, la parte inferiore è detta Pendìno, perché situata in un pendio, la parte alta è chiamata Dièrto, anche Adièrto, dal latino adergere, con il significato di stare in alto. Numerose sono le 'rughe', spettacolari luoghi, dove insistono vecchie abitazioni.
A fine d'anno, era uso recarsi a sentire la messa, sia nella chiesa matrice di San Foca, sia in quella di Santa Maria delle Grazie, ognuna delle quali aveva il suo parroco.
Finita la messa, gruppi di giovani, anche anziani, iniziavano a cantare la Strina a qualche famiglia amica, i cui componenti ringraziavano offrendo zeppole, frutta secca e tanto vino.
La Strina, è un componimento poetico e storico per gli usi e costumi del tempo, richiami di miti medievali come Orlando e Carlo Magno, della Roma sede del papato con le sue numerose chiese, dove le candele ardevano notte e giorno, porte, finestre e letti di panni (materassi non di paglia o o di foglie secche del granturco), donne, uomini galanti e così via. Il richiamo al mondo rurale è forte, magistralmente virtuoso: l'ape che si nutre dai fiori, le gru, le mucche, il gallo con lo sperone che gli spunta dietro le zampe con il granturco raffigurato come se danzasse davanti, all'olio, grano e vino, cioè i prodotti tradizionali necessari per vivere.
Si cantava quasi sino all'alba, in un verso è detto che erano già trascorse le tre ore (dalla fine dell'anno vecchio). Sane tradizioni popolari non più in uso, quel mondo ormai è scomparso, tutto è cambiato. |
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Si apre l’anno di San Giuseppe
di NICOLA PIRONE
Si è aperto lo scorso 8 dicembre l’anno di San Giuseppe che terminerà il giorno dell’Immacolata del 2021. È stato Papa Francesco a inaugurare l’anno per celebrare il 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, emanando un decreto, con il quale ha stabilito che sia celebrato uno speciale anno, nel quale ogni fedele sul suo esempio possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio. In occasione dell’Anno di San Giuseppe, si concederanno speciali indulgenze, tra cui quella plenaria. La confraternita del Santissimo Rosario, guidata dal priore Vito Carnovale, che custodisce la statua del Santo, in accordo con il Parroco padre Michele Cordiano, ha deciso di esporla, per tutto l'anno. La devozione a San Giuseppe, in paese è molto antica e a lui è legato un miracolo avvenuto nel 1886. Due coniugi in età adulta, Bruno Franzè e Caterina Congiustì erano stati colpiti da numerosi lutti in famiglia. Avevano perso dodici figli quando ancora erano infanti a causa delle varie malattie dell’epoca. Quando ormai avevano perso le speranze, nel 1885 decisero di donare i propri averi agli ordini cristiani di San Giuseppe e di scolpire una statua in suo onore. Caterina, convinse il marito Bruno a recarsi a Serra San Bruno presso il maestro scultore Domenico Minichini per ordinare una statua per affinché qualcuno in futuro si ricordasse di loro e facesse una preghiera dopo la loro morte. Nella cittadina della Certosa il Minichini si diede da fare e tempo qualche anno consegnò la statua. Si celebrò una piccola festa, i coniugi Franzè avevano dei possedimenti e in più Bruno era un buon falegname. Al termine della festa, Caterina si sentì male e il medico condotto del paese, dopo una visita di controllo costatò che alla veneranda età di 56 anni aspettava un bambino. Un miracolo e dopo nove mesi la nascita di un bambino chiamato appunto, Giuseppe. Il piccolo, dovette, però crescere solamente con il papà perché la madre da lì a poco sarebbe morta. Giuseppe Franzè fu il tredicesimo figlio, l’unico rimasto in vita e si spense all’età di 88 anni. Una storia, raccontata dai pronipoti di Bruno Franzè, Filippo e Giuseppe, che spiega come la statua di San Giuseppe arrivò nel piccolo centro dell’allora provincia di Catanzaro. Prima della statua esisteva un quadro posseduto dalla parrocchia e fino al 1994 esposto nella matrice. Il simulacro di San Giuseppe appartiene alla famiglia Franzè e fino a qualche anno fa era tenuto in casa, salvo prestarlo alla chiesa in occasione della festa della Candelora e appunto il 19 marzo. La statua di San Giuseppe, raffigura un lavoratore anche nei lineamenti e nei particolari, così com’era stato raccontato nella Bibbia. Nel corso dei suoi due secoli di vita è stato restaurato due volte, nel 1955 per opera dell’artista Serrese Barillari e nel 2010 da Mario Fera. Proprio al termine del restauro, gli eredi di Bruno Franzè, Giuseppe e Filippo hanno deciso, senza perdere la proprietà di donarlo alla chiesa affinché quell’opera miracolosa potesse essere ammirato e contemplata ogni giorno dai fedeli. Nonostante la devozione, però San Giuseppe rimane un santo minore per i Sannicolesi. Infatti, fatta eccezione del giorno della Candelora e della messa che si celebra il 19 marzo, la ricorrenza passa in secondo piano. Oggi con il proclama del Papa si spera di rivalutarlo. www.kalabriatv.it |
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RESTAURO DEL TABERNACOLO LIGNEO DELLA CHIESA MARIA SS. DELLE GRAZIE
Carissimi.
Sono ormai due anni durante i quali la Parrocchia si sta muovendo per intervenire sul ripristino tecnico-artistico del tabernacolo settecentesco ligneo e opera di artisti meridionali, sito nella chiesa di Maria SS. delle Grazie in Francavilla Angitola. Finalmente, dopo i ritardi dovuti ai tempi tecnici – sopralluoghi, richieste di autorizzazioni alle Autorità competenti, ecc. - e alle restrizioni imposte dal Coronavirus, siamo giunti alla fase di realizzazione dell’opera. Il tabernacolo policromo si presenta ormai da tempo ultradecennale, in pessimo stato conservativo. Sono evidenti gli interventi azzardati e spesso improvvisati non si sa da parte di chi, attraverso le pitture usate e chiaramente non idonee ed incompatibili con l’originalità dell’opera, ma soprattutto il grave e profondo deterioramento da parte di agenti atmosferici (umidità) e agenti xilofagi (tarli), polvere depositatasi nel tempo, ecc. che ne hanno corroso e deteriorato tutta la struttura. Ora è venuto il momento di riportare all’originario splendore questo pezzo di arte autentica di proprietà della parrocchia e bene artistico della nostra comunità francavillese che da troppo tempo attende un intervento radicale. In Gennaio i restauratori del laboratorio di restauri “Monastia” di Vibo Valentia, nella persona del sig. Columbro Rosario, ai quali abbiamo affidato i lavori per competenza e per essere avvalorati sia dalla Sovrintendenza che dalla Rev.ma Curia Vescovile di Mileto - lo stesso laboratorio ha già eseguito brillantemente i lavori di restauro del quadro della Circoncisione del Bambino Gesù, presente nella chiesa del SS. Rosario - verranno per prelevare il manufatto e dare corso ai lavori di ripristino. L’intervento verrà a costare circa quattromila euro che non è una spesa esagerata vista la complessità dell’intervento e il valore dell’opera. Abbiamo stampato 250 buste con la dicitura: “Restauro del Tabernacolo Chiesa Maria SS. delle Grazie” in distribuzione presso la parrocchia, alcuni hanno già dato generosamente la loro offerta. E’ la gioia di veder rinascere un’opera come questa ma anche il dovere di dare giusta e dignitosa allocazione al SS. Sacramento ivi contenuto. Ringrazio anticipatamente quanti parteciperanno a questa gara di solidarietà e segno di comunione, ricordandovi che siete voi i fruitori di quanto possiamo realizzare. Un fraterno abbraccio e a presto.
Francavilla Angitola, 26 Dicembre 2020
Il Parroco
Don Giovanni Battista Tozzo |
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NEWS ANNO 2021
MESSAGGIO AUGURALE
Il nostro sito “www.francavillaangitola.com” augura a tutti i lettori, ed in particolare a quelli che vi collaborano premurandosi di inviarci i loro articoli, un sereno Natale ed un felice 2021. A U G U R I |
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francavillatv youtube
E' online un innovativo servizio di comunicazione ideato per promuovere il nostro paese, Francavilla Angitola ed il territorio circostante. il servizio è realizzato dal sito www.francavillaangitola.com . l'obbiettivo della nostra web francavillatv è quello di diffondere via internet in streaming con il motore di ricerca youtube una serie di filmati riguardanti momenti ed eventi del nostro paese, della sua antica cultura, delle sue tradizioni religiose, delle varie manifestazioni che si svolgono nel tempo, con l'intento di far conoscere gli angoli caratteristici non solo di Francavilla, ma della provincia di Vibo Valentia. Se volete iscrivervi basta collegarvi con un pc, televisore smart, tablet, telefonino, cliccate su youtube, cercate francavillatv, nella nostra pagina c’e’ il tasto rosso iscriviti , ogni pubblicazione di un video arriverà un messaggio di avviso . Grazie |
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19/06/2005 ore 20,30:
Lo staff è lieto di annunciare che oggi, finalmente, è cominciata l'avventura sognata da mesi: viene pubblicato il nuovo sito: www.francavillaangitola.com, grazie alla tenacia di Giuseppe Pungitore, alla determinazione di Mimmo Aracri, alla saggezza dell'ing. Vincenzo Davoli e alla intraprendenza di Antonio Limardi jr. |